13 Febbraio 2023

Andrea Antonelli quanto ci manchi: il ricordo del padre Arnaldo

Il padre di Andrea Antonelli racconta chi era il pilota umbro che ha perso la vita dieci anni fa nella gara del Mondiale Supersport a Mosca.

Andrea Antonelli

Difficile, impossibile trattenere le lacrime. Nel 2023 ricorre il decennale di Andrea Antonelli e suo padre Arnaldo apre il suo cuore. Andrea ha perso la vita il 21 luglio del 2013 nell’ottavo round del Mondiale Supersport a Mosca. Era un grande talento ed un pilota amatissimo da tutti.

Era una persona speciale, sono dieci anni che non c’è più – racconta Arnaldo Antonelli in esclusiva a Corsedimoto – Nel momento in cui gli venivano riconosciute le qualità ci ha lasciato. Dopo quattordici anni di gare e sacrifici dalle minimoto al WSSP, finalmente era nel team giusto, nel momento giusto per emergere e realizzare i suoi sogni”.

Che rapporto c’era tra voi?

Io avevo un rapporto speciale con lui perché oltre ad essere il babbo ero anche il suo preparatore atletico. A livello mentale e fisico ero concentrato su di lui. Ero riuscito a trasmettergli il piacere di allenarsi. Abbiamo trascorso delle giornate invernali da soli con la moto da motard a Latina, a Civitavecchia. Lui sapeva benissimo che l’allenamento gli avrebbe fatto poi bene in primavera quando saliva sulle altre moto. Faceva anche nuoto, mountain bike ed in qualsiasi condizione. Era un atleta eccezionale”.

Cosa provavi quando eravate in pista?

“Era difficilissimo per me. Da parte c’era la paura, una paura che ho sempre avuto. C’era il pensiero di ciò che poteva succedere ma dovevo scacciare questo timore davanti a lui. Dovevo fargli capire che poteva migliorare certe cose. Non lo gratificavo sempre dei risultati per spronarlo. Ero abbastanza duro e se ci penso ci sto male. Io ero il preparatore, il mental coach e non ero un babbo che diceva sempre “tutto bene”.

Andrea Antonelli lavorava oltre a fare il pilota?

Andrea era l’unico pilota che lavorava. Faceva il geometra in ufficio perché gli avevo fatto capire che finché non ci pagavano non poteva considerarsi un pilota professionista. Si tornava da Assen la domenica sera ed il lunedì era in ufficio perché volevo che capisse che se anche non avesse sfondato come pilota non sarebbe stato un fallimento ma la vita sarebbe andata avanti lo stesso. Io mi ero dato 10 anni per vederlo campione del mondo. Ero realista e paragonandolo con gli altri che c’erano nel paddock lo vedevo con delle qualità”.

Era considerato un pilota modello per come affrontava le gare.

“Io ero fissato con il riscaldamento pre-gara ed il defaticamento e lui faceva tutto, con Biaggi che lo guardava dal motorhome e gli altri piloti che non capivano cosa faceva. Era meticolosissimo e per me era un piacere. Si faceva voler bene dalle persone che gli stavano vicino, era coinvolgente nella sua passione. Partivamo con il camper e lui voleva essere il primo ad arrivare nel paddock che era il suo regno. Per 10 anni io la mamma ed il fratellino con lui, in questo camper. Gli ultimi tempi si era trovato benissimo con Stefano Morri. Per portarlo a correre con lui avevo sostenuto delle spese ma quando ho visto come si era trovato con Stefano ho detto che erano i soldi meglio spesi che potevo avere, per dargli un futuro. Andrea poi ha voluto Morri al suo fianco anche quando era andato al GoEleven. Ma si trovava bene con tutti, con Denis Sacchetti…tutti”.

Andrea Antonelli è morto in condizioni particolari, con la pista in condizioni proibitive. Ci sono state azioni legali?

Non ho fatto nessuna causa legale perché lui era diventato l’esperto della pioggia, era considerato il più bravo in quelle condizioni. Il suo simbolo era lo squalo. Con la pioggia si esaltava e questa cosa l’ha fregato. Non era partito bene quel giorno. Lui con la sua sicurezza si è messo dalla parte opposta ed ha superato tutti i piloti. La moto era andata dalla parte opposta della pista e lui aveva la salvezza ad un metro. E’ andato a prendere la moto, non si è buttato fuori dalla pista. Per dire la mentalità, la voglia che aveva. Ha attraversato la pista per andare a prendere la moto, non ha pensato minimamente “ora ho finito la gara, mi butto sull’erba”. Lui voleva prendere la moto e continuare la gara e questo lo ha fatto morire”.

Aveva una voglia di emergere straordinaria.

Lui aveva un agonismo, una voglia incredibile. Se a Latina vedeva Valentino con la moto da motard con cui si allenava sempre gli voleva stare davanti, se vedeva Dovizioso con la moto da cross gli voleva stare davanti. Non aveva limiti. Era cosciente delle sue potenzialità. Aveva una tale sicurezza che guardava i suoi idoli e li voleva raggiungere. Non era timoroso. Voleva stare davanti perfino negli allenamenti con i kart. Voleva sempre il meglio anche dei mezzi, aspirava ad avere la moto migliore”.

E’ stata aperta una Onlus in suo onore. Quali sono le vostre attività?

“I suoi amici si sono uniti in questa Onlus ma io non voglio coinvolgere le persone e fare immagine. Starei male ad organizzare le cose per ricordare Andrea. Ora utilizziamo il 5 per mille degli amici per aiutare dei ragazzi che ne hanno bisogno. A Natale e Pasqua facciamo dei regali a dei bambini che hanno dei problemi economici. Ad esempio ho pagato la gita a dei bambini bisognosi che altrimenti non sarebbero potuti andare e cose di questo tipo. Non posso stare male per dire chi era Andrea alla gente”.

Sei uscito dal motociclismo?

Non sono più tornato in autodromo da 10 anni però mi sono avvicinato come mental coach. Ho preso un titolo, lo faccio in altri sport ed ora un mio amico mi sta coinvolgendo e sto seguendo la Superbike, sono mental coach a distanza di un amico di Andrea. L’anno prossimo dovrei andare in pensione da insegnante e potrei aiutare qualcuno di quel mondo, stare vicino a qualche pilota a livello gratuito pur di rivivere quello che ho vissuto nelle moto con Andrea. Io ero entrato nel mondo con Andrea ed è finita con lui. Ora sono entrato nel tennis e paddle con Luca, l’altro mio figlio. Quando avrò più tempo mi piacerebbe rivedere le persone che ho conosciuto”.

Difficilissimo vivere con un dolore talento forte.

“E’ un filo sottile in cui scegli tra diventare depresso o lottare per la persona che avevi vicino. Ho traballato e con me tutta la famiglia. Abbiamo scelto di lottare e se ci fosse un nuovo Andrea potrei dargli una mano per rivivere le stesse emozioni dei viaggi, del circuito perché il motociclismo mi era entrato dentro. A me serve andare tutte le domeniche da Andrea in cimitero, mentre il fratello non riesce a venirci che per lui è ancora vivo nella sua mente. Io vado da lui, parlandoci, guardando la foto riesco ad andare avanti. Con Andrea ho vissuto 14 anni di felicità in un camper in giro per l’Europa. Quel camper l’ho ancora così come la sua auto appena comprata e di cui era tanto innamorato. Era e sarà la mia macchina finché funzionerà perché mi fa sentire bene“.

In foto Andrea, suo fratello Luca e Marco Simoncelli. Quando l’avete scattata?

Eravamo andati a Mantova a fare una gara per un ragazzo di motocross che si era fatto male. Simoncelli era l’idolo di Andrea. Erano partiti in gara vicini. Tutti 2 quel week-end vicini. Andrea che non vedeva l’ora di conoscerlo e voleva fargli vedere quando era bravo”.

Ci sono altre istantanee che ti sono rimaste dentro?

Ce ne sono talmente tante… Uno dei suoi primi meccanici era il padre di Alessio Perilli, il pilota morto ad Assen. Proprio su quel circuito è stato premiato ed ha portato i fiori nella curva dove era morto il figlio del suo meccanico. Il padre di Alessio si era legato tantissimo ad Andrea e io cercavo di capire. La storia ci ha portato ad essere uguali. Ricorderò sempre l’immagine di quel mazzo di fiori così come non dimenticherò l’incidente di Brno in cui Andrea è svenuto in pista. Si era poi ripreso ed aveva partecipato alla gara successiva ma è stato come se vissuto in anticipo la scena che si è ripresentata poi a Mosca. Quel giorno è finito tutto”.

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