14 Febbraio 2023

Dakar, Eufrasio Anghileri: “Ho realizzato un sogno”

Eufrasio Anghileri è il terzo in famiglia ad aver disputato una Dakar. Un sogno realizzato: la nostra intervista.

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Una Dakar portata a termine, come il papà Antonio e lo zio Lorenzo Lorenzelli in passato. Eufrasio Anghileri i motori li ha nel sangue, ma non è pilota professionista, visto che lavora come consulente finanziario. Figlio e nipote d’arte in questa competizione, è stato uno dei ragazzi italiani al via nell’edizione 2023. Da dire che è stato condizionato da un intoppo tecnico alla sua moto, ma in seguito è comunque ripartito ed è arrivato alla fine della corsa. Com’è andata questa sua prima Dakar e cosa pensa di questa competizione in generale? Abbiamo avuto l’occasione di parlarne con Anghileri, la nostra intervista.

Cosa significava per te la Dakar?

Per me era un sogno essere lì: mio papà e mio zio l’hanno fatta, anzi mio zio è stato il primo a regalarmi una moto quando avevo sette anni. Questa passione per le moto ce l’ho praticamente da sempre. Alla televisione ogni inverno, da quando mi ricordo, guardavo sempre la Dakar e mi chiedevo se un giorno sarei mai riuscito ad andarci. Quando sono salito sul palco il primo giorno per il prologo è stato molto emozionante, ero lì davvero!

Scatta poi la competizione, com’è andata?

Non avevo aspirazioni di classifica, ma sono stato abbastanza sfortunato. Fisicamente stavo bene, ma ho avuto qualche problemino tecnico alla moto. Sono arrivato alla fine, ma ho dovuto cambiare il motore e sono in coda alla classifica con tante penalità. L’obiettivo comunque era arrivare sano e salvo all’arrivo, cosa di cui sono contentissimo. A tanti infatti è andata peggio di me. Peccato davvero per i problemi tecnici, ma ci può stare.

Questo nelle tappe finali, prima era successo altro?

Nel terzo giorno ho avuto un problema, ma potrebbe essere stata anche colpa mia. È scesa la catena e s’è storta la corona, ci ho messo 2-3 ore a sistemare. Sommato al fatto che diluviava, non è stato facile. Se non ci fossi riuscito, sarei uscito già al terzo giorno… Ci sono state tante piccole cose che mi hanno tolto un po’ di sicurezza, però adesso prevale la gioia di essere arrivato.

C’è stato un momento in particolare in cui ti sei detto che volevi andarci davvero, o hai sempre avuto questo pensiero?

Ho sempre pensato di provare almeno una volta. Corro da quando ho 14 anni, gare da amatore perché, coniugando prima lo studio e poi il lavoro, è difficile, anzi impossibile farlo a tempo pieno. Quando la Dakar s’è spostata dal Sudamerica mi sono detto che volevo provare a farla. Non mi ispirava quand’era in Sudamerica, ma alla fine per me la Dakar è la Parigi-Dakar, altrimenti non si dovrebbe neanche chiamare così a mio parere. Ho visto poi che tanti hanno criticato questa gara, quindi non voglio fare polemica, ma in Sudamerica, pur essendo bellissima, non mi sembrava quella gara che vedevo in TV. Quando l’hanno spostata ho iniziato ad informarmi.

Quali sono stati i passi successivi?

Io correvo il campionato italiano Motorally e conoscevo Simone Agazzi, il team manager di RS Moto. Lui aveva in testa il progetto di fare una Honda per queste gare, con tutta l’assistenza dietro. Io l’ho seguito, quando è stato pronto gli ho detto che potevamo provare. Era però il 2019 e nel 2020 è scoppiata la pandemia da Covid, quindi abbiamo rimandato tutto di un anno. Nel 2021 ho fatto la prima gara nel deserto in Africa, il Rallye du Maroc, andato anche abbastanza bene per essere la prima gara internazionale. Una corsa che mi aveva già dato l’accesso alla Dakar, ma ho deciso di farla un anno dopo, quindi in questo 2023. Da quando è scattato il 2022 ho iniziato ad allenarmi.

Com’è stata accolta la notizia in famiglia?

Mia mamma non era proprio felicissima… Ma sapeva che non avrebbe potuto obbligarmi a stare a casa, non ci sarebbe riuscita! In generale però abbastanza bene, pensavo peggio. Anche perché sono venuti giù a vedermi, penso di essere stato l’unico con i genitori e la sorella al seguito per i primi 3-4 giorni. Avendola fatta mio papà, era una gara sentita, anzi paradossalmente erano anche felici di vedermi in corsa. Bellissima, anche se ci sono state delle cose che mi hanno lasciato un pochino perplesso.

Cosa per esempio?

Ho fatto un conto alla fine della gara. C’erano 4700 km di asfalto in totale e 3800 km di prove speciali. A me personalmente ha lasciato un po’ perplesso. Facciamo tutti tantissimi sacrifici, sia in termini di soldi che di preparazione, ed alla fine della fiera hai fatto 8500 km, il 55% dei quali però era asfalto. Probabilmente è una cosa che devono fare per mantenere alto il livello di sicurezza, però il fascino della gara che c’era non c’è più così tanto.

Pensi di rifarla oppure no?

L’ho fatta perché volevo e mi è piaciuta tantissimo, però direi di no, non la rifarei una seconda volta. Se cambia il format o qualcos’altro sì, se rimane una gara così però no. C’è ancora il marchio Dakar, ma secondo me non è più la gara che aveva in testa Thierry Sabine. L’idea che aveva lui, di fare una corsa impossibile in Africa, è un po’ scomparsa. È diventata una tappa del Campionato del Mondo, sicuramente la più dura e la più lunga, bellissima, però…

Una Dakar diversa quindi da come te l’eri immaginata.

Non dico di essere deluso, però per tante cose è stata una corsa al di sotto delle aspettative.

Guardando proprio il lato racing, com’è andata?

Mi ricollego a quello che ho detto. Ho cercato di scattare tante foto, per fare poi un album da regalare a parenti e amici. Se guardiamo quelle dei primi 5-6 giorni sembra quasi di essere in Lombardia, o comunque poco ci manca. A parte Al Ula, le foto sono di posti molto verdi, sassosi, e addirittura con pioggia. Una cosa molto inaspettata. I primi giorni quindi sono stati molto tecnici, ma personalmente è stato meglio, visto che praticamente non mi sono mai allenato sulla sabbia. Sono andato anche abbastanza bene, il miglior piazzamento della settimana è stato 53° assoluto, attorno ai 30 in Rally2. Direi benissimo anche senza sforzare.

Arriva poi la sabbia.

Sicuramente è stato più difficile per me, ci ho messo 2-3 giorni per capire come prendere le dune, non ero abituato. Poi verso la fine mi sono divertito! Da dire però che parti la mattina, fai 200-300 km di trasferimento e poi 150 km di dune: diciamo che sei già demolito mentalmente per farle. Sicuramente la fatica mentale è quella che ti può fregare: ti distrai un attimo e se cadi ad alte velocità ti fai molto male.

Come è successo più volte, dai primi agli italiani.

Ho visto alcuni incidenti davvero brutti… È un attimo, bisogna sempre stare attentissimi. Da dire poi che si dorme poco, magari non si mangia benissimo, fa freddo, sei sempre bagnato e le docce non erano calde. Tutto questo, unito al fatto che stai in moto circa 10 ore al giorno: è difficile rimanere concentrati.

C’è stata una tappa in particolare più difficile per te?

Per tanti, e forse anche per me, la più difficile è stata l’ultima tappa. Doveva essere una passerella sul mare e invece si sono lamentati un po’ tutti, compresi quelli che si giocavano la vittoria. Con le piogge fortissime dei giorni precedenti era fangosissima, in alcuni punti sembrava di passare sul sapone. A questo aggiungiamo la partenza in ordine inverso: io ero già nelle ultime posizioni, partendo quindi verso i primi non hai le tracce e devi navigare. Non sapevo dove andare! È stata forse la più difficile, ma sapevo che dovevo stare concentrato e ormai era l’ultima, quindi era fatta. Ho spinto di più rispetto agli altri giorno ed è andata bene, ho ottenuto il mio miglior risultato assoluto ed in Rally2.

Qualche ‘rimpianto’ per non aver spinto un po’ di più anche prima?

No, assolutamente, anche perché penso che il passo fosse quello giusto. Arrivare 50°, 60° o 70° non cambiava molto, discorso penso valido per la maggior parte, tolti i primi 30. Paolo Lucci sì doveva spingere dall’inizio alla fine, per quanto riguarda gli altri italiani penso di no. Alla fine sei tu che ti devi regolare, sai qual è il tuo 100% e vai al 50-60%. Io alla fine mi sono allenato per un anno per trovare un ritmo che mi permettesse di stare lontano dal limite, non stancarmi e anche quest’anno l’ho trovato. Ovvio che per me è sicuramente diverso rispetto agli altri, poi io non sono mai caduto in 14 giorni, tolte solo un paio di cadute sulle sabbia da fermo. È stato proprio perché non ho guardato gli altri, che certamente non avrebbero avuto il mio passo. Anche perché il roadbook ti dice sia la strada che i pericoli: rischi se inizi a guardare chi hai davanti senza leggere le note.

Hai mai dato un’occhiata a qualcuno più esperto? Visto che eri un esordiente.

Quando parti al mattino di parte con un distacco di un minuto, o 30 secondi da metà classifica, quindi è difficile non incontrare nessuno. Ad un certo punto della giornata o prendi qualcuno davanti o qualcuno dietro ti raggiunge. Se vedi qualcuno che fa meglio di te, osservi quello che fa e sicuramente impari guardando. Nelle gare dell’italiano molto di più, in questa Dakar la navigazione era poca e non s’è perso praticamente quasi nessuno.

Com’è stato il gruppo italiano?

Sicuramente bello affiatato. Ci sono elementi come Cesare Zacchetti che danno felicità: sempre sorridente, mi è davvero piaciuto tantissimo perché dava positività. Mi è dispiaciuto per Tiziano Internò che si è fatto male subito, per qualche giorno s’è visto che era molto giù. In generale io li conoscevo meno e ho visto che alcuni erano più affiatati, ma verso la fine ci siamo conosciuti meglio e s’è creato davvero un bel gruppo.

Come sono andati gli altri italiani? Qualcuno ti ha sorpreso?

Sapevo che Paolo Lucci era forte, però sono rimasto davvero sorpreso dal suo risultato! Gli ho fatto i complimenti alla fine, ha fatto una gara veramente, ma veramente bella. Ma anche Ottavio [Missoni], che era con la mia stessa assistenza, è stato bravo!

Come hai gestito tutta quella pioggia?

Mi aspettavo magari uno, due giorni di pioggia. Per fortuna avevo portato un paio di pantaloni antivento ed impermeabili, del tipo che si mette sopra a quelli da enduro, oltre ad una bella giacchettina antiacqua che mi sono sempre portato dietro. È chiaro però che, quando abbiamo avuto la speciale in cui ha piovuto dall’inizio alla fine, eravamo tutti zuppi. Io mi ero portato dietro il doppio di tutto proprio per queste evenienze, ma ad un certo punto temevo che le cose non si asciugassero per il giorno dopo! Partire bagnati non era il massimo. Diciamo che, una volta arrivati, dovevi riuscire a cambiarti e ad andare a letto nel minor tempo possibile. Io ho cercato di minimizzare, purtroppo anche a discapito di qualche chiacchiera con gli altri, per riposarmi e tenere le energie mentali. Ma riguardo la pioggia, me la sono presa proprio tutta! Ma la cosa peggiore poi non è nemmeno la speciale, ma il trasferimento. Avevano tagliato una speciale di 80-100 km, ma ne hanno aggiunti 200 di asfalto! Quindi ci siamo fatti tutto un tratto d’asfalto sotto l’acqua a 120 km/h, c’era da svenire.

Scene inattese vista la zona.

Si va in moto, arrivi totalmente bagnato e poi le docce sono fredde, c’è fango ovunque, quindi ti lavi più o meno. Vai a letto che sei un po’ bagnato, ti svegli che lo sei ancora. Moltiplicalo per tre giorni, al quarto inizi a non essere più così riposato come nel primo giorno. L’aspetto mentale secondo me è stato il più difficile, più delle speciali in sé.

Ti sei mai detto “Ma chi me l’ha fatto fare”?

In realtà no: sapevo che era così e che volevo farlo. Mi sono solo incavolato all’11^ tappa, quando ero fermo e ho praticamente smontato mezza moto. Tre ore sotto il sole, l’unico giorno in cui ha fatto davvero caldo. Lì è stato brutto: ti prepari benissimo e poi succede qualcosa che non dipende da te. Anche perché a me piace avere tutto sotto controllo e questo non lo è stato, non potevo farci niente. È una corsa in cui c’è l’imprevisto, ma anche la prevenzione: devi imparare a fare tutto, si può rompere qualcosa o ti serve qualcos’altro e fai in modo di avere dietro quello che ti serve. Forse, con un po’ di prevenzione in più, non mi sarei fermato.

Vuoi raccontarci qualche episodio che è capitato?

Il più strano è sicuramente quello della moto incendiata. Ho visto i video di Ottavio, ancora non ho capito come abbia fatto. Ma dico anche l’incidente di Lorenzo Maestrami, non mi era mai capitato di vedere da vicino uno farsi così male… Sono poi rimasto lì finché non sono arrivati i soccorsi. A livello psicologico per il resto della gara è stato molto brutto. Ti fa capire che devi stare molto attento. Io da quel momento lo sono stato soprattutto per quanto riguarda le dune tagliate, per non rischiare di farmi male.

Ed a te personalmente?

Nella terza tappa stavamo andando via molto tranquilli, finché non sento un rumore strano, quello della catena. Guardo giù e vedo che c’era la corona totalmente storta, sembrava una spirale. E adesso cosa faccio? Alla fine mi sono messo a cercare il sasso più grosso possibile, ne ho trovato uno di circa 30×20 cm e ho cominciato a prendere a sassate la corona per cercare di raddrizzarla. Ho passato circa un’ora così, finché non è diventata più o meno dritta, o comunque abbastanza per non far cadere la catena. Sono ripartito, ma è caduta più o meno altre dieci volte: prendendola a sassate non è che sia venuta proprio perfetta!

Per alcuni il ritorno è stato “traumatico”, per te invece?

Lunedì notte ero a Milano, martedì ero in ufficio a lavorare. Ho fatto la settimana di lavoro ed i weekend ora posso prendermeli liberi invece di allenarmi. Diciamo però che questo lavoro ti aiuta a non dormire mai, visti gli orari folli. Forse ero anche avvantaggiato in questo senso!

Sul lato moto, quali sono i programmi per il 2023?

L’apice l’ho raggiunto con la Dakar, che volevo disputare. In questo momento non sto pensando ad altro. Gioco anche a tennis, mi dedicherò a quello.

Foto credits: Eufrasio Anghileri

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