4 Febbraio 2023

Tiziano Internò racconta la doppia anima della Dakar “Storie bellissime”

La Dakar 2023 di Tiziano Internò non è andata come previsto. Ma è stata comunque una grande avventura: ecco il racconto

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La sua Dakar 2023 da pilota è finita molto presto, ma Tiziano Internò l’ha comunque continuata. Col progetto ‘Rally POV’, un racconto corale delle avventure vissute in Arabia Saudita dai ragazzi italiani. Esperti ed esordienti tutti uniti dalla voglia di completare il difficilissimo Rally Raid, che purtroppo per Internò è finito con un incidente alla tappa 1. Era ripartito in tappa 4, ma la precaria situazione fisica l’ha costretto ad arrendersi. Pur vissuta ‘da fuori’, la Dakar s’è confermata un evento ricco di imprevisti e di sorprese. Ci abbiamo fatto due chiacchiere, ecco cosa ci ha raccontato.

Tiziano Internò, prima di tutto come stai fisicamente?

Alla fine ho scoperto che avevo un piede rotto, quindi c’era un motivo per cui mi faceva male camminandoci sopra! Ma l’ho scoperto il 18 gennaio, quindi era già passato il tempo per ingessarlo. La spalla sinistra si è lussata per la quinta volta quindi è sicuramente un po’ instabile. La destra invece è a posto, ma c’è il sovraspinato lesionato, quindi mi serviranno 2-3 mesi per non sentire più dolore. Diciamo che l’ho picchiata forte.

Quand’è che sarai di nuovo a posto?

Potrei tornare in moto in 20 giorni, un mese, ma mi hanno già detto che il sovraspinato è una cosa lunga. L’idea sarebbe arrivare pronto al Motorally, quindi ad inizio aprile. Come pesce d’aprile. Ma alla fine non sono un pilota, voglio tornare in moto solo perché voglio divertirmi, non per smania di risultati. Vorrei essere a posto per il Motorally per continuare il progetto con Fantic in maniera normale, senza trascinarmi i pezzi.

Puoi spiegare il tuo incidente?

Diciamo che mi sono distratto e non ho visto una pietra nascosta sotto la sabbia, purtroppo è andata così. Come sempre, 100% responsabilità mia! A livello personale chiaramente brucia parecchio, mi ero preparato tanto, ma dal lato del progetto Rally POV è andato molto bene. Secondo me poi è uscito un racconto ancora più bello di quello che avrei potuto fare io. Io sono molto tecnico e concentrato sulla gara, invece con tutti i ragazzi italiani è venuta fuori una storia di fratellanza, di amicizia, molto bella. Di questo sono contentissimo.

Un progetto che, una volta di più, ha permesso a tutti di ‘dare un’occhiata’ alla Dakar della truppa tricolore.

È uscito un racconto che sicuramente non sarei riuscito a fare, anche come ritmo. Se fosse andato tutto bene sarei stato più avanti e forse non mi sarei incontrato con loro, invece così è venuto bellissimo.

Peccato però per il tuo finale prematuro.

Quando ti prepari per 11 mesi e mezzo per una gara di 15 giorni e poi ti fermi al km 26… Non è il massimo, però bisogna accettarlo. Guardiamo ad esempio Sunderland: l’anno scorso ha vinto la Dakar, quest’anno s’è fermato al km 52. C’è poi un ragazzo tedesco che si è rotto due clavicole dopo 500 metri nel prologo. Tre ragazzi si sono fatti male nello shakedown e non sono neanche partiti. È una gara così, bisogna metterlo in conto. Anche Tommaso Montanari, che davo come favorito degli italiani, si è fatto male alla seconda tappa, frattura del femore. È come se fosse un campionato del mondo di 15 tappe, ma invece di 15 weekend le disputi in 15 giorni consecutivi. E non è come nel Motomondiale che ti rifai nel GP successivo: un problema meccanico o un problema fisico lo paghi tutto in una volta. La bellezza e la condanna di questa gara.

Sono ormai anni che disputi la Dakar. Come sta cambiando questa competizione?

Diciamo che leggo certi articoli di alcuni tuoi colleghi…e c’è sempre polemica! Io vedo sempre una gara bellissima, non capisco quindi tutta questa diatriba sul fatto che non è più la Dakar di una volta. Ovvio che non lo è più, visto che non è in Africa ma in Arabia. Non si usano più moto da 250 kg, i piloti poi si allenano ad un livello micidiale, curando il dettaglio, così come lo è anche la preparazione di moto, macchine, camion, tutto. Non capisco il senso di criticare quest’organizzazione e questa gara.

Come l’hai vista quest’anno?

Ho fatto la prima gara nel 2021, periodo del Covid quindi con tutti chiusi in casa, mentre loro sono riusciti a fare la gara, ovviamente con un numero di iscritti inferiore, con una Classic avviata anche se con solo 7-8 equipaggi, mentre quest’anno erano 150 solo loro. Quest’anno il bivacco era di chilometri quadrati, per girarlo tutto ci volevano 40 minuti. Hanno le loro idee, il loro business, ma sono molto bravi e non mi sento davvero di criticare l’organizzazione, visto che ne ho lette di cotte e di crude. Men che meno quest’anno: a livello di percorsi è stata eccezionale! L’anno scorso era una gara tutta sabbiosa, quest’anno c’era di tutto: roccia, pietra, montagna, sabbia, solo dune… Bellissima.

Tutti però temevano un po’ la seconda settimana: per i motociclisti invece è stata relativamente facile, le dune comunque le gestisci. Per le auto ed i SxS è stata una condanna, diventano un problema grande. In tappa 10 Toby Price è arrivato alle 10.30 del mattino, Rebecca Busi per esempio s’è ritirata. Chi ha ragione dunque? Quella tappa era durissima: ma se per le moto sono due o tre ore di speciale, per auto e camion diventano anche 8 ore, con arrivo di notte. Non si può dire troppo dura o troppo facile… ciò che è certo è che 150 km di dune L2/L3 negli anni ’80-’90 non li facevano. E questo lo dice Franco Picco, non io.

Una voce di grandissima esperienza diciamo.

Franco Picco dice infatti che la Dakar di oggi è molto più tecnica. Queste polemiche quindi non le capisco. La gara è stata molto bella e completa quest’anno. Sia a livello organizzativo come bivacchi, gestione dell’imprevisto con i tanti temporali, fino alla gara ed ai roadbook, questa è nettamente migliorata rispetto alla prima Dakar che ho fatto. Voto 10! Parliamo di spostare migliaia di persone per 800 km ogni giorno. Poi magari diluvia, si creano una serie di problemi e devi gestire l’imprevisto.

Non si possono criticare i piloti dicendo che non hanno più lo spirito di adattamento di una volta. Certo, magari è quasi impossibile vederli girare nel bivacco, ma come fai a criticarli? Gente che va a 160 km/h nel deserto e che quando arriva si ritira in un camper per preparare al meglio il giorno successivo. Magari non è ‘romantico’, ma questa è la gara. È come se in MotoGP criticassi Quartararo perché non va in mezzo al pubblico a vedersi la gara della Moto2, o Bagnaia perché non l’ha fatto andando in tribuna Ducati. Ha senso? Non mi pare.

Parliamo dei ragazzi in azione alla Dakar. C’è stata qualche sorpresa?

Sì, ogni anno è così: sbaglio sempre tutti i pronostici! Ti faccio un esempio: sei là al bivacco, guardi e ti dici “Bah, Ottavio Missoni non arriverà mai! Ha fatto la Sei Giorni [International Six Days Enduro, ndr] con me ed era fisicamente in crisi, non ce la fa.” Poi ad esempio di Jader [Giraldi] pensi “No no, non la finisce.” Od anche “Sì, Tiziano è pronto, va via liscio.” E invece ti ritrovi con tutti i pronostici sbagliati. Ma questa è una gara davvero incredibile: più ti senti pronto, più ti maltratta. Più la temi e quindi le porti rispetto, più riesci ad andare avanti nelle difficoltà. Questo per me era il primo anno in cui mi sentivo pronto e l’ho presa nei denti. L’anno scorso invece mi ero infortunato la spalla il 7 dicembre e me la stavo facendo sotto e infatti l’ho finita!

Chi ti ha sorpreso in particolare tra gli italiani?

Ottavio Missoni era distrutto già dopo il primo giorno alla Sei Giorni: quasi fuori tempo massimo. Secondo giorno aveva le piaghe e a causa di un problema tecnico non è riuscito a finirla. Da settembre a dicembre quasi non si allena e arriva alla Dakar… Non solo la finisce, ma ha fatto anche bene, senza errori né cadute. Jader lo conosco da due anni: da fuori forse nessuno ci avrebbe scommesso, ma io sapevo che poteva farcela. Certo ha faticato due giorni arrivando di notte, ma alla fine è arrivato e non ultimo. Nessun caduta, nessun errore, un solo problema alla moto che ha saputo gestire. Tommaso Montanari lo vedevo come miglior italiano, prevedendo una gara conservativa all’inizio e poi all’attacco. Ha fatto esattamente l’opposto ed è durato due giorni. Di Paolo Lucci pensavo una partenza a canna, invece ha fatto l’opposto con una prestazione matura e veloce. Puoi anche parlarne coi piloti, ma alla fine è il loro inconscio che ne determina il successo o meno.

E gli altri?

Beh, di Franco Picco che vuoi dire… Ormai non si può più dire niente. Fossi il suo consulente gli direi di non farne più! Ha coronato la leggenda: finire la Dakar a 67 anni con una mano rotta! Non so se si possa fare di più. Anche lui nei primi giorni era un po’ teso, preoccupato, poi invece si è sciolto. Lorenzo Maestrami poverino s’è fatto male, anche lui super preparato…eppure. Alex [Salvini] era partito conservativo, ma purtroppo non è bastato. Zack [Cesare Zacchetti] invece quest’anno era diverso: lui è stato uno dei piloti che s’è fermato a soccorrermi, io non ricordo niente, ma sicuramente questo l’ha segnato molto. Alla sera, quand’è arrivato al bivacco, era più spaventato di me!

Aveva visto il tuo incidente?

No, io ero partito più avanti, ma mi ha raccontato poi che si è fermato e c’erano due medici che mi tenevano in piedi. Però io non rispondevo, non li riconoscevo, non facevo niente, tipo vegetale. Mi ha detto infatti che quello l’ha fatto pensare molto. Guardandolo da fuori ho potuto capire che quest’anno è stato molto più conservativo. Ma è stato bravo: in passato era uno di quelli che smanettava, dava gas, invece stavolta, non sentendosi a posto, se l’è presa con serenità. Infatti l’ha finita ancora. Dopo la prima nel 2013 con la moto (nemmeno sua) a fuoco, ha finito tutt’e quattro le edizioni in Arabia Saudita: ormai è uno specialista. Anghileri ha rotto la moto alla tappa 11, ma giocando due jolly ha potuto ripartire arrivando alla fine, anche se non sul podio dei Finisher.

Diciamo che questo ‘finale’ ti carica per la prossima Dakar. Ci sarai, giusto?

Sì, assolutamente. Sto già parlando con Fantic, ho qualche idea in mente!

Ha vinto Kevin Benavides quest’anno, te l’aspettavi?

No! Io davo Van Beveren come favorito, invece è stato quasi deludente. Ma tutto il team Honda in generale non ha dato segni di vita, a parte Barreda che ha vinto due tappe, come al solito, prima di farsi male. Ad essere sincero però tra Benavides e Price preferivo Price, mi piace di più come personaggio. Ma anche perché secondo me passerà alle auto l’anno prossimo, quindi poteva essere un modo per coronare la sua carriera. Kevin però era sicuramente uno dei più motivati. Sanders poi non era in forma: non avendo corso per tutto l’anno, non poteva essere tra i favoriti. La cosa curiosa poi è che KTM, compresi GasGas e Husqvarna, s’è presentata con la moto nuova ed il motore vecchio! Ma alla fine hanno vinto di nuovo loro.

Quella di quest’anno è stata una Dakar particolarmente segnata dalla pioggia.

Faceva freddissimo! Negli ultimi due anni pioveva di notte e poi smetteva, quindi almeno di giorno usciva il sole. Quest’anno invece sono arrivati proprio acquazzoni, con i piloti che si facevano 2-300 km di asfalto o di speciale sotto l’acqua. In Malle Moto per più di una sera non siamo riusciti a montare le tende: ho dormito un giorno in macchina, un altro nel catering,… Perché c’era una spanna d’acqua. Dal punto di vista meteorologico è stata una Dakar folle! Vero è che in Sudamerica non era tanto meglio, passando da 50° a 0° C in un giorno. Ma è il bello della Dakar, l’imprevisto.

Così tanta pioggia nel deserto però è sorprendente.

Mi viene da dire che a questo punto non è un caso. Il primo anno, a Capodanno, diluviava a Jeddah e c’erano gli arabi che prendevano l’acqua ringraziando Allah. Per il terzo anno succede di nuovo, mi viene da dire che in Arabia piove, punto, quindi sfatiamo questo mito. È stato però stranissimo: quando sono ripartito alla tappa 4 c’era addirittura l’erba verde in mezzo al deserto. Ma ormai fa freddo e piove, quindi l’anno prossimo, assieme alle moto, portiamo anche una tuta per l’acqua!

C’è qualche episodio particolare capitato durante le varie tappe?

Direi quello che è successo ad Ottavio: ha soccorso uno che ha preso fuoco, penso sia stata una bella paura. A questo ragazzo infatti ha preso fuoco la moto, non s’è capito come, e Ottavio gli ha tirato la sabbia addosso per spegnerlo, ce l’aveva anche nel casco e stava salendo. Non avevo mai visto una cosa del genere, ma a Cesare era successo: in Sudamerica, col grande caldo che c’era e le sterpaglie che andavano sullo scarico, bastava un niente. In questo deserto freddo e bagnato però è insolito. Oppure quello che è successo a Zacchetti, anche se purtroppo non l’ho vista, me l’hanno raccontata. Nelle dune ogni tanto si formano dei catini, dei piccoli vortici, che vanno giù e fanno un buco. Se ci finisci dentro non ne esci più, è proprio sabbia molle. Ci è finito dentro, poi sono arrivati Missoni, Jader e un pilota indiano: in quattro per tirare fuori la moto.

Hai parlato di Dakar 2024. Prima di allora quali sono i tuoi programmi?

Al momento ancora non li so. La volontà però è di andare avanti a lavorare con Fantic, sviluppare la moto e soprattutto avvicinarla al pubblico. Il mio progetto sarebbe fare l’Italiano Motorally in sella alla 450 Rally da Dakar. Mi piacerebbe poi fare cose nuove: quest’anno ci sarebbe anche la Ruta 40 in Argentina, molto bella, ma il problema è sempre il budget. Mi piacerebbe fare il Transanatolia in Turchia, il Rally in Albania poi mi ispira molto, ma è troppo presto! Alla fine ogni anno penso ad un sacco di cose, ma l’obiettivo è sempre la Dakar. Ecco perché, quando ti ritiri al km 26, rimane aperto qualcosa che si richiude solo 12 mesi dopo: finché non salirò sul podio non si chiuderà quel capitolo.

Qual è per te il fascino della Malle Moto (ora Original by Motul)?

Secondo me è la vera Dakar. Ma non delle performance, piuttosto dello spirito. La Malle Moto conserva quello spirito di avventura: bisogna essere autosufficienti, solo te e la tua moto nel deserto per 15 giorni. È molto più bella per me, ma questo per come interpreto io i rally e la vita in generale. Per questo ti dico che non sono un pilota, che mi sento più un avventuriero: vado lì per vivere un’esperienza. Avere un meccanico mi toglierebbe tanto di quell’esperienza, di quella voglia di farcela da solo. Ma certo non vuol dire che gli ufficiali sono delle capre! Lì guardano la performance pura, qui invece l’avventura.

Quasi due “gare” in una stessa competizione.

La gara è la stessa, non il modo di vederla. Ho letto anche chi criticava Franco Picco perché ora ha detto che non gli interessa più il risultato, cosa che non si aspettavano. Ragazzi, 67 anni! C’è chi la sogna, come Ottavio, Jader, Cesare… Il gruppo italiano che crea storie ed è lì per vivere l’esperienza. E ci sono poi i piloti che hanno una mentalità diversa: il lunedì si alzano e non vanno a lavoro, vanno in palestra ad allenarsi con un solo pensiero. Una gara con due sfaccettature molto diverse, cosa che non c’è in altri eventi: ad esempio, in MotoGP non hai l’avventuriero! Ma è proprio questo il bello di questa gara.

Un aspetto che forse non tutti hanno capito.

C’è poi quest’idea, anche da tanti italiani, che la Dakar è solo per i ricchi, che è marketing, che non è più come una volta… Prendo l’esempio di Jader: il 10 febbraio 2021 mi ha mandato una mail per chiedermi cosa fare per partecipare alla Dakar. Abbiamo fatto una call, è venuto ad un incontro, ha iniziato ad allenarsi: l’anno scorso è stato escluso perché troppo lento, quest’anno ha finito la Dakar. Quelle critiche sembrano più invidia. Piuttosto è una competizione da scindere in due: la Dakar dei primi e la Dakar degli avventurieri. Quest’ultima ha dato tante belle storie. Che poi non sia per tutti è vero, però Gianni Stigliano fa il metalmeccanico e ha fatto due Dakar. Se stai a lamentarti su Facebook certo non ci arrivi.

Prendiamo anche il tuo caso: in qualsiasi altro campionato non parti con una moto fatta nel garage di casa.

Esatto. Prova a farlo in MotoGP! Qui invece è possibile. Non conta la classifica, è un’esperienza, una sfida contro se stessi per superare i propri limiti.

Anche quest’anno però c’è stato un incidente purtroppo mortale.

Me l’ha detto una persona che lo conosceva, mi ha mandato anche il video. Dal punto di vista umano dispiace. Dal punto di vista della tragedia, faccio fatica a vedercela: diciamo che si è messo in una condizione… che forse si poteva evitare.

Il leader dei camion Loprais ha mostrato subito il suo video: era impossibile da vedere.

La gara affascina ed a volte forse non fa ragionare fino in fondo. Anche io sono andato a vedere le speciali: quando passano i camion, dopo tutti gli altri, le tracce sono ormai canali! Forse potevano stare tutti a qualche metro di distanza in più. Ad ogni modo mi hanno allungato la vita: più di uno mi ha detto “Pensavo fossi tu!” Visto che i media hanno parlato di fotografo italiano, senza dire il nome. Ora sono a posto, campo fino a cent’anni!

Foto: Rally POV

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