16 Novembre 2022

Alex Salvini, dal “ritiro” al debutto Dakar: “Sembra di tornare a scuola!”

Dopo vent'anni di successi nel MX e nell'Enduro Alex Salvini si ritira. Per modo di dire, visto che disputerà la Dakar con Fantic.

salvini fantic, dakar

Lo scorso 7 settembre Alex Salvini, plurititolato nell’offroad, compreso un iride in Enduro E2, ha annunciato la fine della sua carriera da pilota professionista. Questo non vuol dire davvero che si fermerà, visto che all’orizzonte c’è già una nuova ed importante sfida chiamata Dakar. Un’avventura con pochissima (nulla) esperienza nel deserto, da vivere assieme a Fantic ed ai compagni di squadra Franco Picco e Tiziano Internò, due colleghi già esperti dai quali imparare il più possibile prima di iniziare. Come vede questa nuova esperienza? Come valuta la sua carriera? E se un giorno il figlio Sebastian, nato nel novembre 2019, volesse seguire i suoi passi nelle moto? La risposta potrebbe sorprendervi… All’EICMA abbiamo avuto occasione di fare due chiacchiere con Salvini, ecco cosa ci ha raccontato.

Com’è venuta l’idea di lanciarti nella sfida della Dakar?

L’anno scorso ho fatto la mia prima ‘esperienza’, se possiamo chiamarla così, allo Swank Rally di Sardegna. Io non avevo mai visto un roadbook né niente, sono partito così. Alla fine non avevo mai avuto l’idea di disputare rally, motorally o simili, anzi non mi aveva nemmeno mai ispirato. In realtà, quando ho provato, mi ha dato un senso di avventura: non sapere dove vai, trovare la strada, seguire le indicazioni, le mappe, le note… È qualcosa che alla fine mi è piaciuto! Concluso l’evento, ho iniziato a capire perché la gente accetta di spendere un sacco di soldi (da amatore costa tantissimo) e rischiare la salute, visto che è abbastanza pericoloso. Ma andare nel deserto con la moto ha il suo fascino. Allora mi sono detto che magari in futuro, magari tra qualche anno, mi sarebbe piaciuto fare questa esperienza della Dakar.

E invece eccoti al via già nella Dakar 2023.

Pensavo tra 4-5 anni, non mi aspettavo che succedesse così presto! Con Fantic stavamo discutendo per un accordo pluriennale come testimonial, collaudatore, anche una parte racing. Mi sono ritirato, ma solo nella veste di pilota professionista, dando l’addio al Mondiale, ma volevo comunque mantenere una parte racing. Correre mi piace, quindi va bene magari fare qualche gara in Italia, qualche altro evento, senza lo stress di un campionato. Mariano [Roman, AD Fantic Motor] poi mi ha detto che presentavano la moto e che gli sarebbe piaciuto che io facessi la Dakar. Io gli ho risposto che era troppo presto, lui ha parlato di un progetto di sviluppo moto, comunicazione… Alla fine è stato sì, quindi si parte!

Come ci si prepara per un evento del genere?

Preparare una Dakar in due mesi, senza aver mai visto il deserto, né sapere come si naviga o conoscere tutte le cose che vanno dietro alla Dakar…È l’evento motoristico più duro del mondo, non è così facile. Normalmente ci vuole una preparazione di anni, o almeno da un anno all’altro. Io devo prepararla in un mese e mezzo, due mesi.

In questo senso, un’avventura “alla Petrucci”.

Ho sentito Danilo proprio la settimana scorsa. “Te sei fuori!” gli ho detto. “Ho rischiato tanto!” mi ha risposto lui. Ma come progetto è tutto diverso rispetto a quello che ha lui: noi andiamo là con la moto nuova, da sviluppare e da portare alla fine. Io totalmente senza esperienza, mentre Danilo aveva fatto alcune settimane con i suoi compagni di squadra in KTM. Si trovava poi con una moto collaudata da moltissimi anni, noi invece andiamo in un’altra ottica: per fare esperienza, per questo progetto mediatico. Sarà molto bello vedere com’è la Dakar: io sto scoprendo che è molto più complessa rispetto a quello che sembra da fuori. E se lo scopro io, pur essendo nell’ambiente da 20 anni, credo che la gente non si immagini neanche quanto sia diverso rispetto a quello che si vede. Credo sia bello raccontare cosa c’è realmente dietro alla Dakar per un pilota professionista, anzi ex professionista nel mio caso. Io sono un neofita di questa specialità, devo imparare tutto da zero: a volte mi sembra proprio di svegliarmi ed andare a scuola!

Quindi come ti stai avvicinando alla Dakar?

Diciamo proprio che non mi sono preparato! Anche perché il mio contratto sportivo con Husqvarna non scadeva prima del 15 novembre, non potevo fare nulla. Ho solo disputato l’Andalucia Rally come ‘banco di prova’ ed accreditazione per la Dakar. Cinque giorni senza aver mai provato la moto né navigato, al buio.

Com’è andato questo evento?

È stato difficile, con diversi problemi tecnici e meccanici, ma alla fine l’ho portata a termine! Diciamo che mi sono divertito abbastanza e sono stato anche discretamente veloce. Anche se l’Andalucia Rally lo chiamano un po’ un Baja, nel senso che non è un rally raid reale ma più qualcosa tipo un motorally italiano. È molto diverso da ciò che sarà in Arabia Saudita o in generale nel deserto a livello di navigazione. Lì segui il Cap, cioè i gradi della bussola come direzione, cosa che io non ho mai fatto, mentre in Andalucia si navigava con le note. Andrò in Marocco dal 5 al 12 dicembre per fare tre giorni di test e provare la moto per la prima volta. Farò poi quattro giorni di scuola con l’ex dakariano Jordi Alcarons, per imparare a capire un po’ il deserto ed il roadbook.

Tante novità non da poco per te.

Decisamente! Senza dimenticare poi la preparazione gigante che c’è dietro, l’equipaggiamento, il dormire in tenda… Che non ho mai fatto, quindi adesso a casa dormirò in tenda per un paio di settimane per abituarmi! Da dire che, da un certo punto di vista, il nostro è un progetto adventure più che racing: per me sarà una vera avventura!

In linea con lo spirito originale che contraddistingue la Dakar, senza classifiche né simili.

Esattamente. Per me sarà già un grande successo finirla, questo è il vero obiettivo. Poi servirà per sviluppare la moto, fare una grande esperienza e vivere quest’avventura.

Che numero userai?

Mi hanno dato il #66. Un po’ una sfiga, se giravo il numero era il mio #99! Però dai, il 6 è sempre un 9 girato al contrario, richiama il mio numero, quindi ci sta bene.

Sei già riuscito a farti dare qualche consiglio dai tuoi compagni di squadra?

Sì, parliamo tantissimo di tutto! Faccio ad entrambi un milione di domande, vorrei davvero capire cosa devo fare [risata]. Ma credo sia davvero difficile da capire finché non lo vivi. Come per tutte le cose, ti possono raccontare e magari riesci a prepararti un pochino, ma finché non sei lì… Mancano due mesi, vedremo.

Niente male per un pilota fresco di ritiro!

Esatto! Adesso dovrei essere in vacanza… Neanche il tempo di finire davvero. Di sicuro non mi annoierò per i prossimi due mesi.

Da “neoritirato”, come valuti la tua carriera? C’è qualche rimpianto?

Ho perso tanti mondiali per guai meccanici, per infortuni… Nel 2018 forse il più epico: ho dominato la stagione, poi per tre problemi meccanici nelle ultime tre giornate ho perso il Mondiale. Nel 2019 ero in testa e mi sono lussato la spalla, perdendo all’ultima giornata per sei secondi. In Motocross MX3 ho perso due titoli per guai tecnici, ho chiuso per due volte secondo. Non sono veri e propri rimpianti ma parte del processo di un pilota. Certo, un po’ di fortuna in più mi avrebbe regalato altri titoli mondiali. È andata così, sono comunque fortunato ad averne vinto uno ed in maniera dominante, ne sono molto orgoglioso. All’epoca non c’era la classifica assoluta ma avrei vinto pure quella. Essere riuscito poi per 10 anni a giocarmi sempre il mondiale è un privilegio, non sono tanti i piloti che ci riescono.

Vent’anni di carriera sempre da protagonista.

Anche se ho vinto magari meno di quanto avrei potuto, penso di aver fatto del mio meglio. Di sicuro non verrò ricordato come un pilota che ha vinto tanto, ma spero di essere ricordato come uno che, anche nei momenti difficili, ha sempre lottato per essere della partita. Vent’anni di carriera non sono pochi e ho chiuso come volevo: da pilota competitivo, vincendo gli Assoluti d’Italia, chiudendo 2° alla Sei Giorni [Enduro], ottenendo podi nel Mondiale, vincendo speciali assolute… Con anche un infortunio. Alla fine però volevo chiudere da protagonista e non in infermeria come negli ultimi due anni, o da comparsa. Quando mi sono fatto male alla mano non ho potuto guidare per un mese e ho iniziato a pensare che forse era il momento giusto per dire basta.

Quali sono invece i momenti della tua carriera che ricordi con piacere? Oltre al titolo mondiale.

Quello è l’highlight della mia carriera, dai un senso a tutto quello che hai fatto. Ma ci sono tanti episodi: ad esempio la vittoria dell’Europeo di Supercross, la mia prima vittoria nel Mondiale, il Motocross delle Nazioni 2008 da protagonista. Anche la mia primissima gara mondiale, avevo 15 anni e ricordo ancora l’emozione, anche se in quei momenti lo vivi più come stress. Sono più ricordi belli che brutti, anche se appunto perdere il Mondiale nel 2018, all’ultima giornata e nell’ultimo giro, quando sarebbe bastato portare la moto in parco chiuso… Quello ti segna. Ma ripenso poi ai bei momenti e passa in secondo piano. Sono stato fortunato, nel bene o nel male ho sempre vissuto forti emozioni, difficili da provare in altre situazioni.

Trasformare la passione nel lavoro della vita poi non è da tutti.

No, è per pochi privilegiati. Alla fine è vero che mi sono fatto molto male, ci sono state tante operazioni, ho passato tanto tempo in ospedale, però in realtà non ho mai lavorato un giorno della mia vita. È vero che da pilota professionista cambia la mentalità, nel senso che ci sono altre dinamiche ed il piacere quando lo fai per svago diventa un po’ più pesante. Andare in moto non è più solo per divertimento, ma c’è un fine, con stress e tensione. Ma se sai gestire queste dinamiche ti gusti tutto. A volte sono stato lì lì per mollare, per ritirarmi anche prima, visti alcuni periodi molto bui, però se mi guardo indietro il processo è stato molto bello.

Una domanda più personale. Se tuo figlio, quando sarà più grande, ti dicesse “Papà, voglio fare il pilota professionista”, come reagiresti?

Questa sarebbe una grande sfiga [risata]. Partiamo dal presupposto però che, a tre anni, vede moto dalla mattina alla sera e ci va da quando ha un anno e 11 mesi. Ha imparato prima ad andare in moto che a camminare! È un po’ assurdo perché non mi aspettavo che un bimbo così piccolo potesse andare in moto, ma è bello da vedere: non nascondo che mi piace, mi emoziona. Però dall’altro lato, sapendo quanto ho tribolato io, in parte spero con tutto il cuore che non faccia questa vita. Mi auguro che trovi comunque uno stimolo per la vita, una motivazione che ti tenga fuori da tante cose. Però se magari fosse il calcio, o il tennis…

Da genitore ne saresti più contento.

Adesso inizio a capire alcune cose in più. Se facesse il pilota, capirei perché mia mamma era così sotto pressione quando andavo alle gare. Credo abbia visto tre gare della mia carriera, molto poche. Quando si andava per il motocross, non usciva neanche dal camper. Nell’enduro è venuta, ma pochissime volte per vedermi in prova speciale, mi aspettava fuori. Da dire anche che io sono andato via da casa a 15 anni, sono veramente pochi, quindi capisco che mia mamma possa aver patito. Ma devo dire grazie a lei ed a mio zio per avermi permesso di prendere la strada che volevo. Ci sono genitori a volte troppo opprimenti, oppure che non lasciano campo libero ai figli a seconda delle esigenze o dei talenti.

Attualmente si parla molto anche di genitori che mettono un’eccessiva pressione ai figli.

Esattamente. Io invece per fortuna ho avuto l’opposto. Quando avevo 5 anni ho chiesto la moto ai miei genitori, ma non me l’hanno comprata finché non ne ho compiuti 11. Ho iniziato tardi, ma ho cominciato ad andare forte molto presto: è stato un problema, visto che avevo poca esperienza, e mi sono fatto molto, molto male all’inizio proprio per questo motivo. Ho fatto la mia prima gara nel 1997, nel 1999 ero nel Mondiale! Andare via di casa così presto poi capisco sia stato uno shock per mia mamma, per la mia famiglia. Stiamo parlando poi di quando avevo 15 anni, ma 22 anni fa! Erano altri tempi, quindi un’esperienza più traumatica.

Hai mai pensato di fare altro nella tua vita, se non fosse andata con le moto?

Io lavoravo nell’azienda di mio zio di movimento terra quando avevo 14 anni. Avrei potuto continuare nell’azienda di famiglia. Diciamo poi che sono arrivato alle moto per tanta passione, ma ero un po’ acerbo, quindi non sapevo se poteva diventare davvero un lavoro. Poi è capitato e sono davvero felice che sia successo! Ma devo dire anche che mi sarebbe piaciuto fare il deejay: ho una grande passione per la musica, mi piace ed è sempre stato un sogno che avrei voluto realizzare. Adesso che ho un po’ più di tempo mi piacerebbe portarlo avanti come hobby.

Insomma, tante idee da portare avanti!

Ma la priorità rimane il lavoro con Fantic, visto che abbiamo tanti progetti insieme.

Dopo la Dakar, cosa ci sarà?

Innanzitutto lo sviluppo delle nuove moto che poi saranno sul mercato. Poi ci saranno gli Assoluti d’Italia Enduro, l’Italiano Motorally, magari un evento di Motocross, la Transitalia Marathon… Un pacchetto di eventi da disputare. Di sicuro non mi annoio l’anno prossimo! Anzi, forse farò pure più giornate di gare rispetto a quest’anno.

Fisicamente come stai?

Mi sto riprendendo dall’ultimo infortunio al polso nel GP di Germania [14-16 ottobre, ndr]. Sono andato poi direttamente in Andalucia e ho sofferto molto, ancora non sto bene ma piano piano sta migliorando. Mi impensierisce invece un po’ di più il collo: quest’estate sono caduto in Italia e mi sono fatto male. Mi sono rotto la mano, ma s’è anche girato il collo: sembrava non fosse niente, invece mi sono uscite quattro ernie cervicali che mi comprimono i nervi e perdo sensibilità alle braccia. Alla Sei Giorni mi hanno condizionato molto, ma l’ho scoperto solo dopo. Mi preoccupa perché stare tantissime ore in moto non aiuta, ma sto cercando di essere il più in forma possibile.

Foto: Instagram

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