14 Novembre 2022

Tiziano Internò, la Dakar vista da dentro “Fantic è la mia anima gemella”

A tu per tu con Tiziano Internò, l'amatore che fa vivere da dentro le emozioni e i rischi della Dakar. Nel 2023 corre con Fantic.

tiziano-interno-dakar-2022

Il nome di Tiziano Internò dice sicuramente molto ai dakariani ed agli amanti dell’offroad. Ma “Rally POV” sicuramente dice ancora di più. Stiamo parlando nientemeno che del diario di viaggio, del punto di vista (questo significa POV, ovvero Point of View) di un “romantico avventuriero” che, da tre anni, si è messo in gioco nella Dakar. Per di più nella categoria Malle Moto, ora Original by Motul, in cui non si può contare sull’assistenza di un meccanico. Il pilota bresciano, attraverso video e contenuti social, ha avvicinato tantissime persone al mondo della Dakar, rispondendo alle domande e chiarendo i dubbi, oltre a mostrare anche qualche retroscena di una corsa sempre affascinante e pericolosa. Ma da dove è partito tutto questo? All’EICMA abbiamo avuto occasione di intervistare Internò, ecco cosa ci ha raccontato.

Quel “sogno chiamato Dakar” per te continua.

Ho cominciato tre anni fa, costruendomi una moto in garage, quindi da vero debuttante allo sbaraglio. Adesso rappresento un brand italiano come pilota supportato ufficialmente. Un sogno che non avevo mai pensato di realizzare quando ho iniziato questo percorso.

Raccontaci com’è iniziata quest’avventura.

Nel primo anno ho corso con una Beta che mi sono costruito io: aveva tanti difetti, in più è stato l’anno del Covid, quindi non ero mai riuscito a provarla nel deserto. Mi sono quindi ritrovato a correre con una moto mai testata e chiaramente ho avuto qualche problemino. L’anno scorso ho utilizzato una moto clienti di Husqvarna, che tutti definiscono la moto perfetta, anzi l’unica moto per la Dakar se vuoi finirla! Ho quindi vissuto un’esperienza diametralmente opposta: un mezzo affidabile, collaudato, magari non facile ma comunque molto sicuro.

Nella prossima edizione invece guiderai la Fantic.

L’ho già provata per più di 3000 km in Marocco e devo dire che penso di aver trovato la mia anima gemella! È una moto molto più vicina a quella da enduro, quindi più amichevole, più facile e, a livello di dinamiche di guida, ti ricorda i mezzi che hai sempre guidato in offroad. Ha tutto ciò che serve per la Dakar ma, come guidabilità, rimane una bicicletta, quindi davvero divertente e godibile. Vediamo come va! Ormai manca davvero poco: il 28 novembre imbarcheremo i mezzi a Le Castellet, il 31 dicembre inizia il prologo.

Ora sei supportato ufficialmente, cambiano un po’ gli obiettivi?

In realtà no. Sicuramente sto meglio, sono più allenato e più consapevole di quello che mi aspetta, cosa che certamente mi aiuterà anche nel passo che riuscirò a tenere nel corso delle tappe. Ma la mia prima missione è quella di raccontare la Dakar a chi è a casa. Ormai “Rally POV” ha 100.000 appassionati che seguono, durante la Dakar arriviamo anche a più di un milione di account unici. Non vorrei cedere all’egoismo od alla voglia di arrivare da qualche parte per poi magari ritirarmi alla 4^, 5^, 8^ tappa per un incidente. Punto a rimanere focalizzato sul mio primo obiettivo, terminare la gara.

La categoria non cambierà rispetto alle Dakar precedenti.

Rimarrò in Malle Moto, quindi senza meccanico, e non è una cosa banale. Una volta terminata la tappa devo fare tutto io: cambiare l’olio, i filtri, le gomme, insomma sistemare la mia Piera. L’ho chiamata così quest’anno. Anche in questo caso un po’ più di consapevolezza che mi aiuterà a capire quando chiudere il gas e finire la tappa piuttosto che mandare tutto all’aria. Ma sono preparato ed a dicembre andremo ancora in Marocco per una settimana di test, un altro sogno che si realizza. L’obiettivo principale però rimane raccontare la Dakar.

Come descriveresti la Malle Moto?

È una famiglia! Quest’anno saremo 26 piloti, ma ti fanno sentire come un figlio. Nel senso che, quando la sera arrivi stanco al bivacco, hai delle persone che ti hanno preparato la tua cassa, il tuo cavalletto, ti portano da mangiare o da bere… Sono dei ragazzi d’oro che, oltre a controllare che tu non faccia furbate, sono i primi a darti supporto, non meccanicamente ma certo a livello emotivo ed umano. Ti senti proprio parte di una famiglia, con questi piloti che cercano di aiutarsi l’un l’altro nelle difficoltà ma anche nella vita quotidiana.

Uno spirito differente rispetto ai primi.

I primi fanno un altro sport. Se qualcuno brucia una frizione, non dico che gli fanno il dito medio ma di sicuro non si fermano. Diciamo che nei primi 20-30 posti c’è agonismo puro, io la chiamo la MotoGP! Quest’anno abbiamo visto che, dopo 10 tappe, i primi 5 erano in un minuto: non so quante decine di ore di speciale, eppure erano ancora lì a battagliare sul filo dei secondi. Noi invece siamo più amatori, avventurieri, secondo me conservando lo spirito della Dakar. Di quella che aveva in testa Thierry Sabine, penso sia bello da raccontare. Per quello voglio rimanere fedele sia alla mia linea di comunicazione che al mio modo di vivere ed interpretare questa gara. La classifica la guardo in un rally italiano od europeo, ma la Dakar preferisco condividerla con un nuovo amico incontrato per strada e che mi sono magari fermato ad aiutare.

Se potessi tornare indietro quindi ti piacerebbe vivere quella Dakar originaria, in Africa.

Sicuramente sì! Non nascondo poi che l’Africa Eco Race è una gara che vorrei fare. Al di là dell’Africa, che mi piace per quello che ho potuto vivere, mi sembra che conservi tanto questa dinamica di viaggio. Come direbbe il mio grande maestro Toni Merendino, “Sembrate la merda che gira nei tubi!” Nel senso che tante volte torniamo allo stesso bivacco dopo aver fatto 700 km, di cui magari 3-400 di trasferimento, ed a volte ti chiedi perché. Dal punto di vista racing è perfetto, nel senso che c’è la gara, l’agonismo, ma dal punto di vista dell’avventura e dello spirito originale sicuramente manca qualcosa. L’Africa Eco Race invece secondo me conserva ancora qualcosa di questo spirito di scoperta: non si corre solo per il tempo, ma per esplorare. C’è la classifica, Svitko e Gerini poi quest’anno se le sono suonate di brutto, ma capisci che forse quello è anche un viaggio, un’esperienza che ti può lasciare qualcosa in più.

Un progetto a breve termine?

Quest’anno [2023] sarà a marzo, l’anno prossimo [2024] invece tornerà a gennaio, in concomitanza con la Dakar. Quindi il 2023 potrebbe proprio essere l’anno giusto per farlo! Ci sto già pensando.

Ti piace il “vecchio spirito” della Dakar, però con la tecnologia moderna per raccontarlo. Com’è nata quest’idea?

Io ho fatto anche enduro a livello mondiale per 11 anni. Nel 2015 ho fatto la prima gara degli Assoluti d’Italia a Lignano Sabbiadoro: sabato avevo fatto 3°, domenica invece pioveva e ho detto basta. Ho caricato la moto, ho venduto tutto e ho smesso di correre. Non ho più toccato la moto: non del tutto, in senso che comunque ho fatto un po’ di viaggi, ma non ho più praticato agonismo. Nel 2019 ho fatto un’esperienza che sicuramente mi ha cambiato la vita: sono partito da Torino e sono arrivato a Capo Nord in bici. Si chiamava North Cape 4000, un evento unsupported, quindi con le tue borse e la tua bici, e così dovevi raggiungere Capo Nord, con una media di 280 km al giorno. E ci sono arrivato senza allenamento! Una volta tornato da quell’evento così crudo ma incredibile, che ti porta a superare tutti quelli che credevi limiti, mi sono chiesto “E adesso cosa faccio?” Lì è arrivata l’idea della Dakar.

Un evento però non solo vissuto, ma raccontato.

Non sono più un pilota, non mi considero tale e non guardo la classifica, quindi perché non farlo unendo il mio lavoro, visto che ho un’agenzia di comunicazioni, alla gara. Cercando di raccontare questo percorso in una sorta di diario di viaggio. Da lì ho iniziato a crearlo, anche per sfatare dei tabù. Ho voluto divulgare le risposte che sono andato a cercare a domande e dubbi che avevo, magari anche scavando, chiedendo, pagando. Penso sia stato questo il vero successo: sono andato a soddisfare la mia curiosità, che era anche quella di migliaia di persone.

Quali sono le domande che ti fanno più spesso?

Sicuramente la domanda più gettonata è quanto costa. Devo dire che i followers, o comunque chi guarda, molte volte sono fonte di ispirazione per la creazione dei video. Ormai dietro di me ho un team che lavora per Rally POV, tutti assieme andiamo a cercare per mostrare poi retroscena magari per me banali, visto che ci sono dentro, ma che per chi è a casa sono ancora dubbi amletici. Anche chi mi segue mi aiuta tanto a creare la storia. Per questo dico che il primo obiettivo è finire la Dakar: con me sento di portare tutte le persone che mi supportano. È una sensazione strana perché in teoria sono solo nel deserto, in pratica invece non mi sento solo: è qualcosa di bello e romantico.

Dakar, la sfida 2023: ecco il nuovo percorso

Si corre di nuovo in Arabia Saudita: ti piace il percorso?

A livello scenografico, qualsiasi cosa dicano, è meraviglioso. I territori che attraversi sono incredibili e la varietà delle speciali è indicibile: passi dai percorsi sassosi alle dune al deserto aperto nel giro di 100 km. Una varietà che ad esempio in Senegal, in Mauritania, in Algeria, in Tunisia non c’è. Magari c’è il Marocco, ma parliamo di un “Marocco” molto più bello e più grande. A livello di percorsi mi convince tantissimo! Quello che mi manca però è il viaggio: non so, mi piacerebbe partire dalle piramidi d’Egitto ed arrivare a Dubai, allora la sentirei una Dakar 3.0. Ma secondo me, quando correvano in Sudamerica, questa cosa c’era, andavano davvero in esplorazione. Qui, essendo vincolati in uno stato, manca il lato ‘romantico ed avventuriero’. Ma come pilota quello che si vive è comunque incredibile.

Cosa si potrebbe cambiare secondo te per questo ‘lato mancante’?

Quest’anno comunque faremo tanta strada: partiremo dal Mar Rosso, arriveremo fino al confine nord, per poi fare una lunga diagonale verso Dammam. Non hanno ancora annunciato i percorsi, ma mi aspetto 9-10.000 km, quindi un bel viaggio. Da dire che alla fine è questione di contratti: la Dakar è una società innanzi tutto e deve far quadrare un bilancio. La mia speranza è che nei prossimi anni si rimanga in Arabia Saudita, ma magari si allunghi qualche tappa anche al di fuori. C’è Abu Dhabi, con un deserto bellissimo, o Dubai, che sicuramente regalerebbe uno scenario diverso. L’Egitto non è poi così lontano, l’Oman è molto vicino… Mi auguro quindi che la Dakar possa espandersi, scoprendo magari qualche nuovo territorio.

Cosa consideri più “semplice” in una gara del genere, e cosa invece ti mette maggiormente in difficoltà?

Certamente l’imprevisto devi sempre metterlo in conto. Il problema della Malle Moto è che una caduta si può trasformare in un’odissea: quando arrivi a bivacco e non so, rompi la torretta, la sostituzione da solo richiede 4-5 ore. Tempo che sarebbe la tua quota sonno per la tappa. La Dakar non è mai facile, l’anno scorso l’hanno detto, ma solo da fuori. Sicuramente rispetto al 2021 i percorsi erano meno tecnici, ma dire che è facile ce ne passa. Quest’anno si parla di una Dakar molto dura, molto tecnica. Se ci sono i sassi io sono contento! Le dune secondo me vanno bene per foto e video, per le moto sono meglio le pietre.

Quest’anno però ci sarà un lungo tratto nella sabbia [in “Empty Quarter”, come viene chiamato il deserto di Rub’ al Khali, il più grande del mondo, ndr].

Ho sentito Edo Mossi [ex uomo chiave del Merzouga Rally, ora della Dakar], in generale sarà 50 e 50. Avremo una prima settimana molto enduristica, molto tecnica, che farà molta selezione, ed una seconda settimana con l’Empty Quarter, quindi grandi dune e tutta sabbia. Le dune bene o male le fai, le pietre sono un pochino più dure. Io personalmente preferirò la prima settimana, ma anche la seconda sarà sicuramente meravigliosa.

Hai già svolto qualche test coi tuoi colleghi Picco e Salvini?

Non ancora, lo faremo in Marocco a dicembre. Saranno due giorni di test e quattro giorni di navigazione. Ho avuto la fortuna di provare la moto a 1000 Dunas due settimane fa e per la prima volta sono estremamente sereno. Quando affronti una nuova avventura ed esci dalla zona di comfort i dubbi salgono, invece questa settimana nel deserto mi ha davvero divertito e fatto capire che il mezzo è competitivo.

Più tranquillo quindi rispetto al passato.

Il primo anno decisamente non lo ero. Ma nemmeno il secondo: la moto era collaudata, affidabile, ma non l’avevo mai provata nel deserto. Poter fare qualche prova con la tua compagna di viaggio, tastare il deserto, farci qualche migliaio di chilometri ti dà quella serenità che poi sarà fondamentale per gestire gli imprevisti durante la gara.

Quante Dakar vuoi fare ancora? Ci hai fatto un pensiero?

Finché è così io vado avanti! La Dakar ha radicalmente rivoluzionato la mia persona: come professionista nel lavoro, come uomo dal punto di vista psicologico. Spero continui a donarmi tanto! Finché posso vivere la mia passione, portando avanti un progetto che coinvolge ed entusiasma tante persone, collaborando con aziende che per me erano sui poster in camera… Quei poster dei dakariani che guardavo quando avevo 14 anni, mentre ora potrei esserci io. Finché le condizioni sono queste, andrò avanti. Nel momento in cui scatterà dentro di me la scintilla che mi dice basta, quando non avrò più le medesime emozioni, allora mi fermerò. Io sono una persona che ama vivere il presente, usando il passato come esperienza e non come flagello, senza guardare troppo al futuro. Inseguo il sogno, ma non voglio farmi troppe aspettative o preoccupazioni. Oggi è un presente meraviglioso.

Fisicamente come stai?

Quest’anno sto bene. Non amo parlare della mia condizione fisica, infatti non si sapeva, ma nella seconda tappa l’anno scorso pensavo di ritirarmi. Mi sono infortunato il 7 dicembre ad una spalla, una frattura acromion claveare [distaccamento della clavicola dall’acromion] con lesione dei tendini. Per i medici non potevo correre, invece… La prima settimana è stata abbastanza dura. Quando poi mi ha investito Nani Roma nella 3^ tappa, è stato come se tutta la tensione se ne fosse andata. Quel giorno ho capito che, se fossi uscito dal deserto con la moto rotta, soprattutto senza il comando del gas, bene o male la Dakar l’avrei finita, me la sarei cavata. Anche il momento più brutto, con un approccio diverso ed una rimodulazione di pensiero, può trasformarsi nella salvezza più grande. Sono passato dall’incubo di veder sfumare la Dakar di nuovo alla terza tappa ad un momento di liberazione: quella Dakar l’avrei finita, senza se e senza ma. Prima di tutto però voglio sentirmi bene dentro, poi il mio corpo mi seguirà.

Vista la corsa, è importante iniziare senza infortuni.

Vero, ma ho una certezza, frutto di 21 anni di vita non proprio fortunati. Noi siamo i creatori della nostra realtà e ne siamo responsabili al 100%. Un infortunio non è una sfiga, ma qualcosa che ci siamo creati, anzi che abbiamo desiderato. So che, se si vince al Superenalotto, ci si batte sulla spalla perché si è stati bravi ad indovinare i numeri, o se il capo ci licenzia è lui che è stronzo. Io sono per il 100% di responsabilità. Se quel 7 dicembre mi sono infortunato, è perché la mia gestione del lavoro non era corretta, quindi l’universo, o come vuoi chiamarlo, mi stava dicendo “Tiziano, hai troppi ordini, vuoi dire di sì a troppe persone”. Questo è il mio approccio: per questo dico che devo stare bene io all’interno, la mia condizione fisica ne sarà solo un riflesso.

“Come ho progettato il mio sogno” la biografia del mago Adrian Newey disponibile su Amazon

Foto: A.S.O./J.Delfosse/DPPI

Lascia un commento