26 Febbraio 2020

Phillip Island 1990, la Superbike di trent’anni fa rincorreva sogni

Tre decenni di show sull'Isola ma è cambiato lo spirito: quello era l'altro Mondiale, adesso la Superbike non rincorre più i sogni

Superbike, Rob Phillis

La Superbike a Phillip Island, trent’anni dopo. Era l’undici novembre 1990 quando il Mondiale approdò per la prima volta da queste parti. Ho già raccontato qui il sapore di quella trasferta da pionieri. La Ducati festeggiò il primo titolo Mondiale della sua gloriosa storia, con il francese Raymond Roche. Oggi la Rossa è una multinazionale che se la gioca alla pari coi colossi mondiali, allora era una piccola azienda uscita da poco dal tunnel della fallimentare gestione statale. Le corse erano il miglior biglietto da visita, e quel successo fece epoca. Davide che aveva battuto Golia. Ma i piloti australiani, a casa loro, erano imbattibili: le vittorie andarono a Peter Goddard, con Yamaha sponsorizzata Marlboro, e Rob Phillip (nella foto), l’antenato Kawasaki di Jonathan Rea

SUPERBIKE PLANETARIA

A Phillip Island ci sono stato almeno una quarantina di volte, e oggi questi ettari di verde a cavallo fra la baia di Melbourne e il mare di Tasmania mi sono familiari quasi quanto il mio angolo di Toscana. Ma quella volta, tre decenni fa, arrivare qui fu come sbarcare nell’altro Mondo. Le corse non erano così globali come adesso, il Motomondiale si correva quasi tutto in Europa. Così la Superbike, per trovare spazi, si allargò verso nuovi orizzonti. In quel 1990, in un viaggio solo, il Mondiale alternativo gestito dai fratelli Flammini  scoprì in sette giorni prima la Malesia, altra novità assoluta, e poi quest’isoletta dall’altra parte del globo. Da qui il paddock si trasferì in Nuova Zelanda, per concludere un campionato che in quell’anno aveva già visitato Canada, Stati Uniti e Giappone. Nel 1990 solo sette gare su tredici erano ospitate in circuiti europei. Oggi che Dorna ha preso in mano tutto, solo tre round Superbike si corrono fuori Europa.

TUTTO UN ALTRO MONDO

Cowes, il piccolo paese epicentro della vita dell’Isola, sembrava un villaggio del Vecchio West.  Gli alloggi erano molto “Aussie style”, non come i resort quasi di lusso di adesso. Telefonare in Italia era un mezza impresa, e per spedire gli articoli via fax bisognava sgattaiolare solitari nella reception in piena notte, da soli, perchè (ancora oggi) chiudono alle 20. Ma è soprattutto il paddock che è cambiato. A quei tempi la Superbike era l’altro Mondo davvero, pieno di piloti, Costruttori e anche giornalisti che avevano preferito buttarsi in un’avventura piena di incognite, piuttosto che mettersi in fila per trovare gloria nei GP.

ARIA DI SFIDA

Dal boss Maurizio Flammini all’ultimo dei meccanici, tutti erano convinti che la Superbike, nata da soli due anni, con un pò di pazienza e tanto coraggio, sarebbe diventata la concorrente del Motomondiale, datato 1949. “Qui vedi correre le moto vere, e i piloti sono ragazzi coraggiosi che osano fino all’ultimo metro, non come le fighette dei GP” era il refrain. Il pubblico  cresceva e la Superbike diventava ogni anno più grande e ambiziosa. Ecco perchè, alla fine, il Motomondiale se l’è comprata. In trent’anni, la cosa che è cambiata di più è lo spirito. Ancora oggi la Superbike è bellissima.  Ma dal grande capo Carmelo Ezpeleta all’ultimo dei meccanici  tutti sanno che non deve più rincorrere i sogni.

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3 commenti

  1. fabu ha detto:

    Rob Phillis, non Phillip. quanto mi piaceva, dopo Merkel per me la SBK era lui.

  2. Nikt ha detto:

    a Phillip Island entri in curva talmente piano che ti imbarazzi.Ci vuole un manico della madonna per andare forte perché ogni curva (a parte Honda e MG) e’ talmente veloce che ci vogliono le palle d’acciaio

  3. stingray64feve_14624459 ha detto:

    Sicuro, la SBK é bellissima perché da appassionati veri tutte le gare di moto sono belle… però la realtà è che ha totalmente perso il carisma e carattere che aveva, chi paga il biglietto vuole divertirsi e cari tutti, la SBK di adesso di divertente non ha propio niente… non è una questione di regolamenti, e in parte neanche di soldi.
    È che scimmiottare la MotoGP, da bravi “poveri” vuole dire esserne solo una brutta copia ed è la peggior cosa che si può fare a un campionato, vuole dire togliergli l’identità ma hey il pesce puzza dalla testa no?