18 Febbraio 2017

Superbike A Phillip Island dal 1990 Il primo Mondiale Ducati e altri ricordi

La Superbike debuttò a Phillip Island nel 1990 con la Ducati in festa per il primo Mondiale della sua storia con Raymond Roche. Quanti ricordi, personaggi e follie...

La Superbike 2017 riparte il prossimo week end dall’Australia: sarà la 27° volta che le maxi derivate dalla serie rombano sul  fantastico saliscendi di Phillip Island.  Che dopo l’uscita di Monza è rimasto il tracciato più veloce (oltre 177 km/h la media sul giro) e anche il più antico in calendario. Lunedi e martedi, nella notte italiana,  gli ultimi test precampionato.

ISOLA MAGICA – Al giorno d’oggi  il circuito di Phillip Island è una pietra miliare del motociclismo: spettacolare, impegnativo, senza un attimo di respiro. I piloti lo adorano e gli appassionati anche. Perchè qui, in poco più di due decenni, si sono viste battaglie memorabili, in Superbike e in MotoGP.  Ma nel 1990, quando la Superbike vi ha messo piede la prima volta, Phillip Island non lo conosceva nessuno. Fino ad allora aveva ospitato soprattutto gare di auto e le prime due edizioni del GP d’Australia Superbike, nel 1988-89, si erano svolte nel circuito salotto di Oran Park, alla periferia di Sydney.

Phillip Island è magica

Phillip Island è magica

MEMORIA – Era l’undici novembre 1990 e fù un giorno storico. Phillip Island battezzò il primo Mondiale della Ducati: il francese Raymond Roche (nella foto d’apertura) non vinse, anzi fece due gare sulla difensiva (quinto e ottavo…) girando al largo dai guai. Ma bastò per far suonare a festa le campane di Borgo Panigale: per la prima volta la piccola marca bolognese aveva piegato i colossi giapponesi. Fu una mezza rivincita per Marco Lucchinelli che due anni prima era arrivato ad un passo dall’iride da pilota e tagliava il traguardo da direttore della squadra. Non proprio la stessa cosa, per lui che era stato iridato della 500.

FESTA COL BOTTO – Fuori dalla pista Roche, classe ’57,  era un pazzo scatenato, Lucky di più. La festa per il Mondiale andò molto sopra le righe e al rientro in albergo, quasi all’alba, Lucchinelli che guidava l’auto con a bordo pilota e meccanici perse il controllo proprio sul ponte che collega Phillip Island alla terraferma. Marco è ligure e il paesino lì accanto si chiama San Remo, ironia della sorte. La macchina sfondò la barriera e rimase penzoloni nel vuoto, fortunatamente senza volare nell’Oceano. I superstiti, al mattino, tennero la bocca chiusa e della dinamica dell’incidente non si è mai saputo. Neanche cosa avessero bevuto  quella sera, ma possiamo ben immaginarlo. Lucchinelli aveva messo in piedi un team di gente fidatissima. Alcuni erano con lui fin dai tempi del Mondiale 500 ma quella notte amicizie di una vita andarono in frantumi. La paura aveva cancellato la gioia dell’iride.

Scenario da favola

Scenario da favola

TRIPLETTA – Nel calendario 1990  l’Australia era la seconda tappa di un trittico affascinante: la domenica prima la Superbike aveva scoperto la Malesia correndo a Shah Alam, e sette giorni dopo c’era la finalissima in Nuova Zelanda, sulla pista di Manfeild ricavata dove prima c’era un ippodromo. Piloti e tutto il seguito rimasero in giro quasi un mese anche perchè nel 1990 i viaggi non erano comodi come adesso: per tornare in Europa dalla Nuova Zelanda impiegai 40 ore, con tappe intermedie a Auckland, Singapore, e Amsterdam. La valigia, data per persa, arrivò miracolosamente a casa 35 giorni dopo.

PRIMORDI –  Anche l’Australia era diversa. In aeroporto mancavano gli autonoleggi: ti caricavano sul taxi e prendevi l’auto nell’ufficio di città. A Melbourne non c’era ancora la circonvallazione, né il tunnel sotto il fiume Yarra. Così per prendere la statale verso Phillip Island dovevi attraversare downtown da un capo all’altro. Fortuna che spesso arrivavi all’alba, il traffico era scarso e i cappuccini meglio di quelli italiani.

COLONIA ITALIANA – Nel 1990 a Phillip Island c’erano la metà delle case di adesso, però la Rosa Scarlato c’era già, sempre sorridente al bancone del ristorante Pino’s che nei giorni di gara diventa una succursale del paddock. Quella volta vinsero Peter Goddard e Rob Phillis, due australiani che sono ancora nel giro:  Peter si è laureato in ingegneria e adesso fa il tecnico delle sospensioni. Rob Phillis, predecessore di Tom Sykes in Kawasaki, vive ancora nell’outback, corre qualche garetta amatoriale e tra una birra e l’altra racconta sempre storie divertenti. Dice che una volta nel giardino di casa si prese a pugni con un canguro.

SUPERSTITI – E’ passato quasi un quarto di  secolo e nella Superbike di oggi non tanti possono dire “Io c’ero”. Tra i superstiti c’è Alberto “Moro” Colombo, allora meccanico-amico di Fabrizio Pirovano e oggi capotecnico di Chaz Davies in Ducati ufficiale:brianzolo, muratore mancato, è  il più titolato del paddock, avendo vinto sedici Mondiali tra piloti e Costruttori. Il “Moro” ha lavorato a fianco di miti come Fogarty, Bayliss, Haga, Chili. Adesso ha 47 anni ma sembra ancora il ragazzino di allora. Avrebbe voluto esserci il dottor Massimo Corbascio che per un quarto di secolo è stato al timone della Clinica Mobile, che adesso è un vero ospedale viaggiante. Lui, rianimatore brindisino d’adozione bolognese, allora viaggiava da solo, coi medicinali stipati in una borsa. Mancherà perchè poche  settimane prima di prendere il volo lo hanno “gentilmente avvicendato”. In sala stampa c’erano già  due decani della fotografia, l’inglese Kel Edge e il romano Fabrizio Porrozzi. Che il GP del ’90 se lo ricorda bene: a Melbourne, sulla via verso la Nuova Zelanda, gli rubarono tutta l’attrezzatura  lasciata in auto in un parcheggio custodito, ma chissà  da chi.

Forse nel 1990  c’era anche qualcun altro che ancora c’è, ma  non mi viene in mente. Il tempo passa.

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