6 Gennaio 2018

MotoGP: Davide Tardozzi, il ducatissimo

Nostra intervista esclusiva con il direttore sportivo della Rossa. "Non è difficile gestire Dovi e Lorenzo. A Valencia qualcosa è successo, se Jorge fosse riuscito a recuperare... "

Abbiamo incontrato Davide Tardozzi a Ravenna. Ha fama di mangiapiloti, di mangiagiornalisti. Invece scopriamo un uomo che prima di essere al vertice della catena alimentare della MotoGP rimane soprattutto un appassionato del proprio mestiere; uno che non ha paura di dire le cose come stanno. Una rarità, nel mondo del motorsport, dove sempre più spesso sembra che anche le dichiarazioni degli addetti ai lavori siano di “plastica”. Ha ancora lo sguardo del pilota, lucido, penetrante: ti osserva in un modo tale che sembra sempre debba affrontare la prossima curva, la prossima staccata. Le mani non stanno mai ferme, tradiscono un’energia completamente votata al suo impegno di Team Manager Ducati nella MotoGP. La nostra conversazione è rilassata, del tutto simile a una chiacchierata tra appassionati: quasi ti dimentichi che stai parlando con un uomo che ha nelle mani il destino sportivo della squadra più ammirata d’Italia. Davide parla volentieri, è un tipo da motociclismo d’antan, quello in pista, non quello dei tweets. Rappresenta l’anello di congiunzione perfetto tra passione e sport.

Sei riuscito a riposare, perlomeno in questi giorni ?

«(Ride). Sì guarda, dopo un campionato MotoGP come quello appena trascorso, passare un po’ di tempo a casa, a fare cose “normali” passare del tempo con la famiglia o curare il giardino è servito a staccare la spina. I prossimi impegni, tra presentazione della squadra e pianificazione della nuova stagione mi assorbiranno completamente. Fai fatica a spiegare alle persone cosa significhino 176 giorni lontano da casa, per 18 GP e 5 test, ed entro due anni se non cambia nulla i GP saranno 20.»

Come riesci a farcela?

«Grazie alla passione e a una famiglia comprensiva, che sono le due componenti fondamentali. Altrimenti non riusciresti. Da fuori sembra una cosa diversa, invece il nostro è un piccolo ambiente. Una carovana di giro che passa fuori sede più di sei mesi l’anno., oltre al tempo che passo in Fabbrica.»

Ultimamente sembra di assistere ad un florilegio di dichiarazioni, soprattutto da parte di ex piloti contro i colleghi in attività.

«Ho letto alcune dichiarazioni ma preferisco non esprimermi in merito».

Ritieni utile il lavoro dei coach, nei box ?

«Il primo a iniziare è stato Jorge con Wilco Zeelemberg, adesso sta diventando una moda. In Ducati abbiamo Michele Pirro che riteniamo un supporto fondamentale sia per Lorenzo che per Dovizioso, e anche la prossima stagione sarà in pista nel doppio ruolo di collaudatore e aiuto per i nostri piloti .Ma non è per tutti, serve avere doti e capacità non comuni per poter dare un vero contributo, Guarda Luca Cadalora: è un mezzo ingegnere, ma soprattutto è un uomo di straordinario equilibrio. Quanti Cadalora ci sono? Pochi. Però è innegabile che avere a fianco un coach che possa capirti, ascoltarti, consigliarti, per un pilota rappresenta un grande supporto psicologico.Tieni conto che l’ambiente del motomondiale sembra enorme, ma in realtà è come un piccolo villaggio, in cui ogni voce viene amplificata.»

Spesso ci dimentichiamo che i campioni sono, prima di tutto, degli uomini, o dei ragazzi.

«Per questo credo che sia importante tutelarli. I fan li vedono come dei privilegiati, ma non conoscono la loro storia, le loro fragilità, la dedizione con cui affrontano la carriera. Coi nostri due piloti siamo riusciti a costruire un rapporto diretto; quando si abbassa la serranda del box siamo tutti sullo stesso piano. Non esistono i milioni, le bizze da superstar, esiste piuttosto il lavoro di tutta la squadra. Quello che ci dobbiamo dire, ce lo diciamo. Sono dispiaciuto perché a volte il popolo di appassionati giudica con troppa facilità; Jorge Lorenzo per esempio è stato preso di mira, ma in realtà è un uomo diverso da come appare. Generoso, disponibile a condividere, molto legato alla squadra.»

È complicato gestire due fuoriclasse come Dovizioso e Lorenzo?

«Non proprio. Entrambi sono grandi professionisti, due campioni consapevoli del proprio valore. Con entrambi abbiamo trovato una buona base su cui lavorare e insieme a Gigi (Dall’Igna) e Paolo (Ciabatti) direi abbiamo dato ad entrambi tranquillità sia dal punto di vista tecnico che sportivo. Noi siamo certi di avere nel box due top rider che nel prossimo anno cercheranno di sfidare il migliore, che in questo momento è Marquez

Valencia 2017 non ha lasciato strascichi?

«Dovi è un ragazzo molto intelligente. Su questo non si discute. A noi spetta il compito di dargli la moto che chiede per giocarsela fino in fondo. La moto perfetta non esiste, il pilota perfetto non esiste. Chiaro che a Valencia è successo qualcosa, ma se vuoi sapere come la penso, credo che se Lorenzo fosse riuscito a recuperare sui primi due negli ultimi giri avrebbe aiutato Dovizioso. Magari platealmente? Forse,  ma lo avrebbe fatto! Purtroppo non è andata così. È comunque vero che quando la squadra ti lancia un messaggio lo dovresti rispettare, ma è anche vero che la situazione in gara la conoscono solo i piloti.»

Cosa significa correre e vincere con la Ducati?

«Sai chi è il primo ducatista d’Italia, anzi del mondo? Claudio Domenicali.  È il nostro Amministratore Delegato ed è conosciuto per essere un uomo pragmatico, ma quando parla di Ducati Corse sembra un appassionato sfegatato. Ogni team ha il proprio metodo di lavoro, ed è giusto che sia così, ma il metodo Ducati vive della passione dell’intera azienda. Ti racconto un aneddoto: quando Stoner fece un giro per lo stabilimento, nel dicembre 2015, dopo 5 anni con HRC, passò vicino ad un’addetta al magazzino che volle farsi autografare una vecchia fotografia dell’australiano in sella alla Desmosedici che teneva nel cassetto . Casey si stupì e chiese alla donna perchè l’avesse conservata così a lungo. Lei rispose: «sapevo che prima o poi saresti tornato in famiglia». Questo è lavorare per Ducati. Quando Lorenzo è venuto a visitare la fabbrica la prima volta, tutti gli operai della linea di assemblaggio si sono fermati per applaudirlo mentre passava. Jorge è rimasto molto colpito.Quando lavori per Ducati senti di partecipare a un progetto che coinvolge tutta l’azienda, dall’amministratore delegato a tutti gli addetti. Questo è anche un motivo d’orgoglio, oltre che di responsabilità.»

La tua esperienza in Superbike ti è servita anche in MotoGP?

«L’esperienza in Superbike mi è servita  molto e ho mantenuto lo stesso tipo di approccio anche nella Top Class; ho sempre inteso il Team come una famiglia molto efficiente. Coi rapporti umani che devono essere prioritari . Prendi Dovizioso: Andrea è un pilota preparatissimo, capace, intelligente. È consapevole di questo. Quando ci confrontiamo sappiamo che c’è rispetto, lui ascolta noi e viceversa. Costruire questo clima di fiducia all’interno del box, è stata un’operazione lunga e complessa, resa possibile grazie anche alla esperienza in Superbike.»

Mentre il mondiale MotoGP vive un’immensa popolarità, il campionato delle derivate di serie appare in crisi.

«Purtroppo non ho soluzioni da proporre. Certamente qualche domanda dovremmo farcela se è vero che a Donington il British Superbike richiama più spettatori del Mondiale. Vedremo se le novità introdotte dal nuovo regolamento si riveleranno la ricetta giusta.»

Di sicuro c’è il fatto che accedere al motociclismo agonistico stia diventando un fatto elitario.

«In questo senso credo che sia stata fatta un’ottima operazione con la classe 300: una scelta che approvo. Una categoria d’ingresso accessibile, formativa, che rientra appieno nello spirito delle competizioni. In questo modo si può formare una nuova generazione di piloti senza escludere a priori nessuno. Il percorso formativo canonico del motomondiale è molto costoso, spesso troppo,  per le famiglie di piloti promettenti. Non è detto che per crescere futuri campioni la strada debba essere per forza  quella della moto3 spendendo tantissimi soldi.  Prendiamo Franco Morbidelli, ha tutta la mia stima per quanto ha fatto in pista, ma soprattutto per l’atteggiamento, la grinta e la dedizione, è un ragazzo che non aveva grandi mezzi: ha dovuto guadagnarsi ogni cosa con il proprio talento prima in Supersport poi è arrivato al titolo moto2. Credo che le storie dei piloti andrebbero conosciute meglio, perché non è vero che sono tutti privilegiati che vivono in un mondo incantato. Mi piacerebbe che si raccontasse di più di questi ragazzi e dei sacrifici che fanno per la loro passione oltre alle gesta dei campioni consacrati»»

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