Superbike: Jonathan Rea 6 tremendo, Come te nessuno mai
Jonathan Rea è il più grande pilota Superbike di sempre? Lo dicono anche i numeri: Fogarty e Bayliss non avevano la stessa consistenza.
Gli mancava solo questa: vincere un Mondiale Superbike di otto round dopo sei soltanto. Già, perché anche se la consacrazione aritmetica è arrivata soltanto oggi all’Estoril, da un mese Jonathan Rea è virtualmente iridato. La botta decisiva al campionato l’aveva data ad Aragon, quinta tappa su otto, e nella successiva al Montmeló ha chiuso il primato in cassaforte. Magny Cours, sul bagnato, e l’ultima dell’Estoril sono state pura accademia. Tutto era già deciso, con l’identico verdetto degli ultimi sei anni: Jonathan Rea con la Kawasaki è inattaccabile.
È il più grande di sempre?
Gli appassionati si domandano se Jonathan Rea sia il pilota Superbike più grande di sempre. I numeri lo eleggono, perchè nessuno ha vinto così tanti campionati e gare. I raffronti con il passato sono sempre molto ardui, soprattutto in un campionato come questo che ha avuto fasi di alto interesse tecnico – con parecchie marche ufficiali presenti, dunque competività al massimo livello – e altre meno. La domanda è: Jonathan Rea avrebbe potuto battere Carl Fogarty (4 Mondiali, 59 vittorie) e Troy Bayliss (3 titoli, 52 trionfi)? La risposta è assai ardua, perché stiamo parlando di tre giganti. Soltanto chi ha conosciuto da vicino questi personaggi e vissuto a fondo le tre differenti epoche è in grado di dare un giudizio autorevole.
Rea contro Foggy e Bayliss
Foggy, dei tre, è stato sicuramente il più romanticamente folle. Ha vinto dovunque, anche fra i marciapiedi della Northwest, andando fortissimo anche al Tourist Trophy. Su quei terribili 60,6 chilometri fece un record strepitoso con una Yamaha tirata giù dalla vetrina di una concessionaria. Troy Bayliss è stato il più carismatico, uno dei quei rarissimi piloti che fanno innamorare la gente al primo colpo. Pensi all’australiano e ti viene subito in mente il sorpasso quadruplo in prima variante a Monza, biglietto da visita con il quale nel 2000 si presentò al pubblico italiano. Oppure Portimao 2008, quando si ritirò da campionissimo, festeggiando il titolo e il trionfo nell’ultima (vera) gara della carriera. Bayliss è stato anche l’unico dei tre a mettere in riga i fuoriclasse della MotoGP. Sbancando Valencia 2006 con la Ducati senza aver mai provato quella Desmosedici né le Bridgestone di quella stagione. Mitico.
Jonathan Rea è il più consistente
I predecessori però hanno quasi sempre gareggiato con le migliori moto in pista. Nel ’93, quando Foggy arrivò al Mondiale, era un “satellite” Ducati ma aveva più o meno lo stesso potenziale degli ufficiali. Nel 2007 Bayliss perse il Mondiale contro James Toseland con la Honda, perché in quella stagione la Ducati era in crisi tecnica. Ma disponeva comunque del massimo supporto del reparto corse. Jonathan Rea invece ha vivacchiato per sei anni in Honda, guidando – nel periodo 2009-2014 – una moto gestita da una piccola squadra olandese. Nettamente inferiore, in tutte le stagioni, a Ducati, Aprilia, Suzuki e Kawasaki. In questo periodo ha comunque vinto 14 volte, mica poche se parti da “underdog”. Da quando guida la Kawasaki è calato il sipario per tutti. Jonathan Rea, a differenza di Foggy e Bayliss, non è mai andato in crisi. Gli altri due, talenti purissimi, talvolta cadevano preda delle loro inesauribile sete di successo. King Carl ha sulla coscienza il titolo ’93, vinto da Scott Russell, e quando migrò in Honda, pensando di vincere comunque, venne sconfitto da Troy Corser, suo erede in Ducati. Troy perse il famoso Mondiale dello spareggio 2002 contro Colin Edwards a Imola perché il round precedente, ad Assen, era malamente caduto buttando via i punti che gli avrebbero permesso di gestire un comodo vantaggio. Jonathan Rea errori così non li ha mai commessi.
E adesso?
Ogni volta che lo vedi salire nell’Olimpo, ti aspetti che Jonathan Rea ci darà seguito. A 33 anni il biondino nordirlandese è nel pieno della forma fisica, della motivazione e dell’esperienza. Dunque un colosso che sarà difficilissimo buttare giù dal piedistallo. Per sei stagioni ha fatto la differenza con un progetto tecnico assai datato, anche se continuamente (e mirabilmente…) aggiornato e gestito. Fra un mese salirà per la prima volta su una Ninja completamente diversa. In Kawasaki hanno lavorato duro per non rivoluzionare una moto vincente, ma riportarla al passo delle sfide tecniche “simil-MotoGP” lanciate da Ducati e Honda. Le sue doti di “sviluppatore” sono indiscusse, per cui è difficile immaginare che patirà la fase di rodaggio. Al via del Mondiale 2021, la prossima primavera, sarà già vicino al top del potenziale. La corsa continua, più forte che mani. Sempre “In Testa” non a caso il titolo italiano della sua autobiografia.
4 commenti
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Sono tempi diversi ma in pista non ci sono talenti come Edwards,Haga,Corser,Bayliss, o il Fogarty dei tempi d’oro.Rea corre in modo piuttosto agevole contro avversari che non hanno costanza di rendimento.
Davies,Lowes,Redding,Razgatlioglu o Bautista( caduto a ripetizione per la troppa pressione di vincere) non vanno forte su tutte le piste.
Rea vincerebbe agevolmente anche in Ducati,forse
in maniera ancor più netta.-
Colin Edwards era un vero manico delle derivate e quel
Mondiale non verrà mai scordato.
Bayliss fu sconfitto ma era un weekend epico che tutti ricordano per quanta gente c’era ad Imola 2002.
Da quanti anni non si vive un momento così intenso?
Dorna è troppo concentrata alla Motogp per dare il
giusto riconoscimento alle Sbk,che non stanno vivendo un periodo d’oro.-
Secondo me è isolo questione di comunicazione e di poco risalto a piloti molto validi ma sminuiti (uno a caso, Lowes per esempio)
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Stai seguendo in questa stagione? Dopo Phillip Island è
letteralmente sparito subendo lo strapotere di Rea.
Un divario nettissimo come nel periodo di Sykes.
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