5 Ottobre 2020

Jonathan Rea “In Testa”: Magny Cours, fino all’ultima goccia

Jonathan Rea non ha vinto il sesto Mondiale in Francia. Nella sua autobiografia racconta i retroscena della festa 2017, quando dovette ritirarsi sul più bello...

Superbike, Jonathan Rea

A Magny Cours la festa per il sesto titolo mondiale (consecutivo) è stata solo rimandata. Jonathan Rea può solo perderlo, questo anomalo campionato. Che, ad essere onesti, ha regalato ben più di un motivo di soddisfazione. Prima di tutto, perché la Superbike è ̶ e resta ̶ tostissima, Covid-19 o non Covid-19. Nell’annus horribilis che ha demolito tutte le certezze, sacrificando gli eventi di popolo alla visione solitaria, resta la (quasi) consacrazione del numero 1. Ma non si tratta della solitudine dei numeri primi; perché il successo di Johnny Rea è un fatto corale. Un pilota, un team, una crew compatta e unita. In una parola, un clan. Una tribù che vive, pensa e ragiona con le corse.

Lo sceriffo non è cambiato

Chi credeva di scendere dalla MotoGP per vincere facilmente in Superbike ha capito, in fretta che lo sceriffo è sempre lo stesso. La legge del cannibale diventa la leggenda dei numeri. Il campione del mondo della Superbike nella sua autobiografia (In Testa – La mia autobiografia – CdM Edizioni, 2019, 270pg illustrazioni a colori), racconta del rapporto tutto particolare con Magny Cours. Dove ha perso (con la Honda) e ha vinto il terzo, quarto e quinto mondiale. Un luogo sperso nella Francia rurale dove piove spesso: un tracciato insidioso che può riservare molte sorprese. Per questo, forse, stavolta era meglio gareggiare cercando di risparmiare le forze, senza strafare, in modo da rimandare la festa all’Estoril.
Perché c’è qualcosa di già scritto nella pioggia francese.

In testa, il ricordo della festa 2017

C’è l’istinto da killer dei fuoriclasse, che ti impone di non fare prigionieri, c’è la paura di rovinare tutto magari per uno stupido errore e ancora c’è quel buonsenso da contadino nordirlandese che ti suggerisce di non strafare. L’acqua caduta copiosamente in circuito ha rimescolato appena appena le carte, ma non ha cambiato il senso di una vittoria solo posticipata. Un breve estratto tratto da In Testa ̶ la mia autobiografia: “Magny Cours è in mezzo al niente e può essere un vero strazio arrivare a Parigi per poi dover guidare tre ore dall’aeroporto. Quel weekend noi sembravamo una specie di corte medievale…C’era la concreta possibilità che io diventassi il primo pilota di Superbike a vincere tre mondiali consecutivi. Era anche il compleanno di Jake [il figlio maggiore NdR] e l’equipaggio dell’aereo gli fece trovare una torta. Dopo il veloce pit stop parigino c’imbarcammo per il breve volo fino a Nevers e da lì al circuito di Magny Cours dove i ragazzi del team avevano provveduto a organizzare una speciale festicciola di compleanno con palloncini e cappellini. Fu davvero un pensiero gentile che aiutò molto anche me a scrollarmi di dosso un po’ della pressione che sentivo per l’imminente fine settimana. Tutto andò bene fino al venerdì poi il cielo si spalancò e la Superpole fu praticamente un disastro.”

Non sono tutte rose e fiori

“Mi schiantai alla terza curva durante il mio primo giro lanciato rimediando uno stiramento alla spalla sinistra, già colpita in precedenza. Fortunatamente sono riuscito a tornare al box e organizzare razionalmente i pensieri mentre lo staff sistemava i danni alla moto. Sono uscito di nuovo e ho centrato la pole position con un margine di più di un secondo sull’altro pilota più veloce. La spalla continuava a farmi piuttosto male; questo avrebbe potuto essere un bel problema…la pista era ancora bagnata, ma andava asciugandosi. Quando i semafori si sono spenti, la mia partenza è stata da holeshot – che vuol dire essere il migliore di tutti in accelerazione dallo stacco da fermo – e inoltre tenevo un passo piuttosto agevole. Avevo la corsa in pugno: mi ritrovai a controllare tutti a debita distanza. A Magny Cours avevo già fatto una gara sul bagnato mantenendo un grande vantaggio, in Superbike ai tempi della Honda, perlomeno prima di schiantarmi alla prima chicane. Questo episodio mi ritornava sempre alla mente: alla fine ho pensato che se avessi iniziato a rallentare facendo calcoli in ottica campionato, avrei potuto commettere qualche errore. Allora ho semplicemente mantenuto il mio passo; ho dovuto utilizzare le cambiate corte e chiudere un po’ il gas durante gli ultimi giri, ma ero ancora in testa davanti a tutti quanti e ho tagliato il traguardo impennando in piedi sulle pedane, a più di sedici secondi su Marco Melandri, il secondo classificato”

Rea vuole fare festa vincendo

“Questa sensazione mi ha risarcito abbondantemente dalla delusione patita le due volte precedenti, in cui mi ero aggiudicato il campionato senza vincere la gara. Stare sul gradino più alto del podio da campione del mondo è stato incredibile. Tutto è diventato ancora più speciale quando mia madre, mio padre, Richard, Tatia, Jake, Tyler e Kev mi hanno raggiunto per festeggiare assieme il terzo titolo. Avere tutti loro con me sul podio è qualcosa che non potrò dimenticare. Mai e poi mai. Abbiamo festeggiato a cena nell’hospitality quel sabato, ma nessuno si è ritirato tardi perché la domenica c’era un’altra gara da disputare. Sapevo inoltre che non ci sarebbero stati festeggiamenti la sera seguente perché i ragazzi del team volevano a tutti i costi tornare a Barcellona per votare al referendum sull’indipendenza della Catalogna. Mi svegliai la domenica mattina sentendomi un campione del mondo: scesi in pista in Gara2 con un altro obiettivo, significativo, da realizzare. Durante il nostro anno da dominatori, nel 2015, ho chiuso la stagione Superbike a quattro punti dal record messo a segno da Colin Edwards quando vinse il campionato nel 2002.”

2017, la festa…dolorosa

Durante la stagione 2017 battere il record di punteggio sembrava quasi un gioco da ragazzi ma dopo l’incidente a Donington Park, quando esplose la gomma posteriore, era diventato più difficile. Dopo che Eugene Laverty cadde proprio davanti a me, in Gara2 a Magny Cours prima dell’ultima chicane, l’obiettivo sembrava diventato ancora più remoto. La moto di Laverty scivolò verso di me colpendomi il piede così forte da rompere la pedana della Kawasaki: non ho potuto continuare la corsa, sono stato costretto all’abbandono. Gli ultimi due round sarebbero stati su circuiti dove non avevo vinto mai, nemmeno una volta. Per infrangere il record, avrei dovuto vincere tutte e quattro le gare. Nessuna pressione.”

(Da: Jonathan Rea, “In Testa – la mia autobiografia”, in vendita qui)

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5 commenti

  1. fzanellat_12215005 ha detto:

    11 vittorie stagionali sono un bottino clamoroso,
    se si considera questo mondiale con 5 tappe in meno
    nel calendario.Cannibale.

    • marcogurrier_911 ha detto:

      Giusto
      Iniziando poi male anche dal punto di vista “psicologico” all apertura del mondiale, con una entrataccia subita, un fuori pista ad alta velocità, e una brutta caduta che poteva avere conseguenze ben più gravi.

      • fzanellat_12215005 ha detto:

        Phillip Island non è mai stata una pista particolarmente
        amata da Rea.Lo 0 in classica ci poteva stare,ma non
        ho mai dubitato delle sue possibilità iridate.
        Ha una marcia in più degli avversari e anche Lowes
        (in testa dopo P.Island) si è reso conto quanto sia
        difficile contrastare il fuoriclasse della Sbk.

      • marcogurrier_911 ha detto:

        Più che altro avrebbe dovuto parlare con più cautela Redding , pensando di “scendere” in WSBK ( ma lui era nel BSB!!!) facendo una passeggiata e battere tutti, con la stessa facilità con la Quale io ordino il cappuccino la mattina.
        “Fighette” quelli della MotoGP, poi invece “batto la concorrenza qui” e”torno in Gp” ( ma non ti faceva schifo L ambiente, Scott?)
        Bah…

  2. joseignaciopinte_15038149 ha detto:

    KAWASAKI: UNICO EQUIPO EN UN MUNDIAL DE MOTOS QUE NO TIENE EQUIPO EN MOTOGP. si fueran tan buenos estarian alli, se tuvieron qye retirar por no tener capacidad para hacer andar una moto. todas las factorias compiten y tienen un equipo en motogp. y no equivocarse; el año pasado el mismo Pere Riba reconocio que el mundial no lo gano ni Rea ni Kawasaki, lo perdio Bautista.- saludos.-