14 Ottobre 2020

ESCLUSIVA Alex De Angelis: “Nessun rimpianto mondiale, ora penso ai piccoli”

Alex De Angelis ha chiuso domenica scorsa la carriera da pilota. Commenti su MotoE, Motomondiale, il 'nuovo paddock', l'impegno coi piccoli... L'intervista.

alex de angelis

Lo scorso fine settimana a Le Mans Alex De Angelis ha annunciato il suo ritiro dalle corse. Certo non accantonerà definitivamente casco e tuta, solo smetterà di competere a livello internazionale. Peccato che il suo ultimo evento non sia andato esattamente come previsto per guai fisici dopo il botto in qualifica. Ma l’esperto ex pilota sammarinese lascia certo con commozione, ma senza rimpianti, e soprattutto conscio di aver dato sempre il massimo. Ora si dedicherà ad altre attività, tutte legate alla formazione dei piloti del futuro.

Prima di tutto, come stai a livello fisico?
Purtroppo male. Ho forte dolore al braccio e ho perso sensibilità alla mano. Una volta tornati a San Marino abbia fatto varie visite in ospedale: per fortuna sembra non ci sia nulla, ma potrebbe trattarsi di uno stiramento del nervo. Ci vorrà del tempo prima che guarisca.

Due gare quindi particolarmente difficili a Le Mans.
Una cosa decisamente improponibile. Le moto sono piuttosto pesanti, quindi nelle mie condizioni era davvero difficile guidare, non riuscivo nemmeno a spingere. Giravo circa due secondi più alto rispetto a quanto fatto venerdì mattina…

Giovedì l’annuncio ‘a sorpresa’ del tuo ritiro. Come sei arrivato a questa decisione?
Sicuramente il lockdown e la riduzione delle gare mi ha portato a questa scelta. Ho fatto il pilota professionista per tanti anni. Certo quando si è fermi magari ci si dedica anche ad altre attività, ma un pilota deve soprattutto fare quello. Io invece stavo facendo l’esatto opposto: per cinque weekend all’anno correvo e per tutto il resto del tempo facevo altro. Non mi sembrava quindi la maniera più professionale per continuare. Da aggiungere che a febbraio compirò 37 anni: a questo punto preferisco dedicarmi alle mie altre attività, sempre nel mondo delle moto e legate al team aperto con Massimo Roccoli. Oltre ai tanti corsi di guida ed al mio ruolo di istruttore federale. Voglio essere un punto di riferimento per i giovanissimi.

Siete riusciti a festeggiare la fine della tua lunga carriera?
Quando sono tornato in pit lane c’era tutta la squadra pronta ad aspettarmi. Mi ha fatto molto piacere: viste le regole legate al Covid, non sapevo se sarebbero riusciti ad organizzare qualcosa. Certo non abbiamo potuto fare una vera e propria festa, anche perché ero un po’ triste. Il magone comunque c’è, non è stata una scelta facile.

Cosa ti mancherà di più della tua ‘vita da pilota’?
Al momento non so rispondere… Forse più avanti me ne renderò conto. Negli ultimi due anni però con la MotoE correvo per pochi weekend all’anno, quindi avevo già assaporato “l’altra vita”. Certo il momento più difficile, per esempio quando sono in pit lane per Sky, è proprio vedere gli altri fare ciò che anche io vorrei fare. Penso quindi che la cosa che mi mancherà di più sarà proprio guidare la moto.

Hai qualche rimpianto nella tua carriera?
Devo dire che ogni volta che ho fatto una scelta ero sempre molto deciso. Non ho particolari rammarichi. Mi dispiace solo che la mia carriera sia stata segnata da problematiche di budget scoperte solo a stagione in corso. Come ad esempio nel 2010 quando il team è fallito, quindi a metà anno mi sono ritrovato senza moto. E non è da dire che avessi fatto una scelta sbagliata, visto che l’anno prima erano campioni del mondo [si parla di Scot Racing, campione con Aoyama in 250cc nel 2009, ndr]. Idem con Ioda in MotoGP, squadra che poi si è trasferita in Superbike per mancanza di budget [biennio 2015-2016, ndr]. Mi sono ritrovato in quel campionato non perché volessi, ma perché non si poteva fare diversamente. Ecco, in carriera ho incontrato problematiche dei team di cui io non potevo essere a conoscenza.

Come consideri la breve esperienza Superbike?
È andata male da subito. In più venivo dal famoso incidente in Giappone in cui mi ero fatto molto molto male. Anche allo stesso braccio che adesso ha problemi dopo la caduta in MotoE. Diciamo che quindi è un campionato che non ho potuto assaporare, né la Superbike ha potuto vedere il vero Alex De Angelis, visto che in quell’anno non stavo per niente bene.

Tornando nel Motomondiale, in base alla tua esperienza, come hai visto l’evoluzione delle tre categorie?
Partiamo dalla Moto3. La cosa bella rispetto alla 125cc 2T, a cui ho partecipato io, è che adesso puoi metterti in luce con qualsiasi moto e qualunque squadra. All’epoca invece, se la casa madre non ti forniva il kit giusto, potevi anche essere il più bravo ma in top ten non ci andavi. Al contrario, le moto quattro tempi sono molto facili da guidare ed alla fine tutti vanno forte, è difficile capire chi è più bravo. Certo se arrivi nel mondiale non sei una schiappa, ma queste moto permettono a tutti di portare a casa qualche risultato.

Riguardo poi Moto2 e MotoGP?
Parlando di Moto2, adesso è molto formativa. I vari Quartararo, Lecuona, Bagnaia… sono passati da questa categoria ed adesso stanno andando tutti forte in MotoGP. Mi viene da dire che sta funzionando bene, anche perché l’aumento della cilindrata con Triumph ha ridotto il gap che c’era prima. Ora il cambio non è un salto nel buio ma è un salto di qualità. In MotoGP invece quest’anno è davvero difficile fare un discorso ‘sensato’. Anche i piloti di solito costanti non sono sempre lì: tanti errori, cadute, piazzamenti fuori dalla top ten… poi magari vincono la gara dopo. Probabilmente (come molti dicono) le gomme Michelin possono influenzare molto a livello di rendimento a seconda delle condizioni meteo e del circuito. Ma è difficile dare un giudizio vero a proprio.

A Le Mans per esempio avete trovato freddo e pioggia. Com’è andata con la MotoE?
La MotoE in particolare è molto problematica per due motivi. Il primo è che non abbiamo il traction control, quindi nessun dispositivo elettronico che ci ‘salva la vita’. Il secondo, che amplifica il primo, è avere un solo giro a disposizione in qualifica, dopo solo un giro in uscita dai box. Stessa cosa per la gara, visto che non abbiamo il warm up lap: alla prima curva arriviamo con le gomme non in temperatura, in una gara corta in cui devi spingere fin da subito.

Un bilancio dei tuoi due anni nel campionato elettrico.
Sono stato molto contento e fortunato di aver preso parte a questa avventura. Ho anche capito che non bisogna mai giudicare le cose finché non le provi. Vedendola da fuori, senza il rumore, può sembrare ‘noiosa’. Invece quando la provi, capisci ed apprezzi le qualità che può avere un motore elettrico. Al contrario, sono un po’ deluso per quanto riguarda l’evoluzione: da un anno all’altro si poteva fare molto molto di più, invece sostanzialmente è rimasto tutto uguale. La moto è la stessa dell’anno scorso e rimarrà così per i prossimi due anni. Per attirare maggiormente l’attenzione forse serviva qualche novità in più.

Ti dispiace non essere riuscito a salire sul podio in questa categoria?
Mi dispiace tantissimo, sarebbe stato l’en plein. Se non mi fossi fatto male a Le Mans, visto come sono andate le cose, il podio sarebbe stato possibile. In Gara 1 tante cadute, in Gara 2 si controllavano per il campionato, è andato sul podio il mio compagno di box che per tutto l’anno è sempre andato peggio di me… Peccato, sarebbe stato bello chiudere col podio in tutte le categorie in cui ho corso. La soddisfazione è che l’anno prossimo a Misano, se correranno lì, vedranno sul monitor il record in gara di Alex De Angelis! Ho lasciato il mondo delle gare da pilota veloce.

Com’è cambiato attualmente l’ambiente del paddock?
È tutto un altro mondo. Da una parte, un mondo molto più professionale perché non ci sono più ospiti. Negli ultimi anni sembrava di andare alla fiera di Milano! Secondo me non è questo il modo di lavorare all’interno di un paddock del Motomondiale. Certo adesso siamo passati all’estremo opposto: non c’è più nemmeno la hospitality, mangiamo dentro i cartoni che ci portano quelli del catering, dentro il box. È un paddock un po’ “freddo”, ma molto più professionale.

In un certo senso l’hai quindi apprezzato di più.
La cosa migliore sarebbe sempre avere le tribune piene come in passato, nel paddock invece solo gli addetti ai lavori. A volte ti ritrovavi tra gli ospiti persone che avevano vinto i biglietti non si sa come, e poi non erano nemmeno così appassionate… Oppure i team si lamentavano di oggetti spariti. Quest’anno potevi lasciare qualsiasi cosa in giro, addirittura carene o chiavi, e nessuno toccava nulla. Non si può sentire di furti nel paddock, eppure è successo.

Riguardo poi all’emergenza sanitaria attuale? C’è qualche timore nel paddock o no?
Vorrei dire che è l’unica zona sicura! Chi era nel paddock era assolutamente tranquillo, hanno fatto sempre controlli serrati per quanto riguarda l’uso di mascherine, occhiali, visiere… Oltre ad essere tutti sani, siamo tutti super protetti. La ‘bolla’ sta funzionando, l’unica bega era sapere che dovevi rifare più volte il tampone!

Hai già iniziato a programmare l’anno prossimo o sei concentrato su questa stagione?
Per ora ci focalizziamo sul Campionato Italiano e nel Trofeo Yamaha di quest’anno. Chiaro che abbiamo parlato con i nostri piloti e fatto qualche preventivo, ma senza nessun accordo. La mia prima attività sarà appunto portare avanti questa squadra, il team Roc’n’Dea, con un’idea innovativa: io e Massimo scendiamo in pista con i nostri ragazzini. È un valore aggiunto che possiamo portare solo noi, ben diverso dal semplice coaching.

Una sorpresa poi è arrivata da Diego Palladino [CIV SS 300, ndr], il cui manager è Michele Pirro. Siamo partiti ad inizio campionato che non sapevamo nemmeno se rientrava nel 107%, invece ha vinto due gare ed è 2° in classifica generale! Siamo rimasti davvero sbalorditi. Continuerò poi a lavorare con la Federazione Italiana come tecnico federale: seguirò gli allenamenti di tutti i Talenti Azzurri. Per quanto riguarda le gare del CIV, seguirò i pilotini delle categorie PreMoto3 e Moto3. Parto da dove c’è più bisogno.

Foto: Dorna Sports

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