28 Agosto 2023

Salvo Pennisi, ritratto del collaudatore manager Pirelli: “Ho seguito l’odore di benzina”

Il bambino che giocava nei campi di Fiumefreddo, nelle campagne catanesi, oggi è vertice del dipartimento collaudi Pirelli

Salvo Pennisi, Pirelli


Giornalista, collaudatore, top manager, creatore di mondi: è difficile definire l’orizzonte di Salvatore Pennisi. Ufficialmente, oggi, è il capo del settore Sperimentazione e Relazioni Tecniche di Pirelli Motorcycle e ne dirige operativamente  il Testing Department che ha sede a Giarre, vicino Catania. Vi lavorano oltre 40 fra collaudatori, ingegneri e tecnici. Non c’è prodotto Pirelli e Metzeler destinato al mercato o alle corse, che prima non venga messo alla frusta da “Salvo” e dai suoi ragazzi, in ogni condizione d’esercizio possibile, su strada e in circuito. Pennisi ha svolto negli ultimi quattro decenni (e svolge tuttora)  un ruolo cardine nel successo crescente della multinazionale di pneumatici che ha sede a Milano.

La parabola personale e professionale di questo siciliano verace di 66 anni è un autentico romanzo. Che comincia in un paesino della campagna catanese negli anni ’60 e ha le sue appendici, oggi, alla direzione di un centro tecnologico d’eccellenza mondiale, sorto ai margini di quelle stesse terre. Una storia che si snoda tra i tracciati di test in ogni angolo del mondo, circuiti, campioni, imprese, scoperte, sconfitte e (soprattutto) successi. Salvo è una figura affascinante perchè incarna, in una persona sola, l’essenza dello sport e del mondo che amiamo: tenacia, ambizione, capacità, passione, spinti dall’ossessione irrefrenabile di andare sempre oltre il limite. Nel paddock e nell’industria lo conoscono tutti: grandi piloti, manager, appassionati e anche… i gommisti concorrenti. Pochi però conoscono la sua storia. Eccola.

Un fuoristradista in erba

La mia famiglia è di Acireale. I miei si trasferirono durante la guerra a Fiumefreddo di Sicilia sempre nelle vicinanze di Catania dove si trovavano le aziende agricole di famiglia. Ho avuto un’infanzia e un’adolescenza meravigliosi: immaginatevi questo paesino siciliano negli anni ’60-70, mio padre allora, come era obbligo per ogni ragazzo di buona famiglia (ride, ndr…) correva in auto ed era anche un discreto pilota di motonautica. C’è stato sempre un certo  profumo di benzina in casa mia. Io mi sono innamorato già da piccolo delle moto e mio padre non mi ha mai ostacolato. Quando avevo solo dodici anni mi ha regalato un Ducati Rolly 50 (ciclomotore 2T, uscito nel 1968, ndr),che adesso è esposto nel centro collaudi Pirelli di Giarre. Due anni dopo sono salito su un’Aspes 50 cc, cominciando a fare gare di motocross con un buon successo.

Nelle grazie di Ducati

A metà anni ’70 ci fu il boom in Italia delle gare di regolarità e fui preso anch’io da questo vortice. In Sicilia c’era una bella attività agonistica, ebbi la fortuna di essere notato dalla Ducati che nel ’76 costruì una moto da regolarità 2T perchè voleva cavalcare l’onda di questo mercato in grande ascesa. Ero conosciuto nell’ambiente, per cui il concessionario locale mi affidò una di queste motociclette. Andai benino, la Ducati mi prese in simpatia e nel ’78 feci un contratto con Ducati come pilota ufficiale della terza zona, il sud. Allora il pilota di punta della Ducati fra i seniores era Italo Forni, un pilota mito della specialità.   Anche lui mi prese in simpatia. Sul più bello però  dovetti partire per il militare, Carabiniere, ed inoltre ci furono vicissitudini in famiglia e mi toccò occuparmi di una delle aziende, perchè era venuto a mancare mio zio Ippolito che la gestiva.

Una magnifica ossessione

Ma io ero ossessionato dalle moto, volevo riuscire in questo lavoro, in questo mondo. Il mio futuro doveva essere in questo ambiente. Era un sogno difficilissimo da realizzare, perchè in Sicilia a quei tempi le opportunità erano nulle. Avevo lasciato l’università e avevo cominciato a scrivere per alcune riviste di moto. Mi aveva “scoperto” Claudio Braglia, che negli anni ’80 era responsabile delle prove prodotto di Motosprint. Scrivevo le cronache locali e ogni tanto di prodotto.  Nel ’83-84 la Pirelli ebbe la necessità di mettere in piedi un reparto di sperimentazione qui in Sicilia, a Villafranca Tirrena, dove avevano un grande polo produttivo. Cercavano gente dell’ambiente. Braglia fece il mio nome, mi ricordo che ai responsabili Pirelli disse “Salvo è un tipo in gamba, perbene, parla anche italiano…” Quindi cominciai a lavorare in Pirelli come prestatore d’opera. In pratica, come operaio.

Dall’Etna fino ai confini del Mondo

Evidentemente feci una buona impressione e fui mandato in Brasile per seguire un progetto di attuazione di attività di sperimentazione. Era una missione difficile, ma me la cavai. Selezionai diverse persone, le formai, per quanto ero capace allora. Funzionai bene. La Pirelli ci credette e mi mandò a formarmi in Giappone. Mi ritrovai a lavorare con i progettisti Yamaha, cominciai a fare esperienza con il mondo del collaudo, tanto che poi entrai in Pirelli a tutti gli effetti, dopo solo due anni, come dipendente, per organizzare e gestire con concetti moderni il centro collaudi moto. A Villafranca Tirrena misi in piedi praticamente dal niente un reparto che clonava le esperienze che avevo avuto l’opportunità di sviluppare in Brasile ed imparare in Giappone. La struttura crebbe molto velocemente, e anche bene. Cominciai a fare frequentissimi viaggi in Giappone, per tenermi aggiornato e al corrente delle evoluzioni che i Costruttori stavano sviluppando . Ma anche per proporre loro le nostre soluzioni. Fu un crescendo entusiasmante. 

Alla corte imperiale Honda

Uno dei miei più bei ricordi è quando partecipammo alla selezione per la fornitura del primo equipaggiamento della Honda RC30. Era il 1987, ero giovanissimo e mi trovavo nel sancta sanctorum della più grande azienda di moto del mondo. Viaggiavo con Pierangelo Misani (attualmente vice presidente senior e CTO  ricerca, sviluppo e cyber del gruppo Milanese, ndr). Lui è del ’58, eravamo due ragazzini, siamo rimasti amicissimi e continuiamo a frequentarci molto anche fuori dal lavoro. Addirittura lui ha preso casa in Sicilia dove viene spesso in vacanza. Vi immaginate la scena? Noi giovanissimi alla “corte imperiale Honda”, a proporre le nostre gomme per una moto che ha segnato un’epoca. E sapete come andò? Riuscimmo a convincerli, così adottarono le Pirelli come primo equipaggiamento sulla RC30, la prima quattro cilindri a V a vincere in SBK, una moto che ha fatto epoca. Fu un successo clamoroso.

L’inizio della storia

Questa storia comincia da lì, in pratica. Il centro in Sicilia si espandeva sempre di più, anche perchè nel frattempo Pirelli aveva comprato nel 1986 la Metzeler, quindi avemmo la necessità di integrare queste due realtà. La casa madre decise di spostare l’intera produzione di gomme per moto in Germania, ma di mantenere e espandere le attività di sperimentazione qui in Sicilia. Quindi venni incaricato di fondere le due esperienze, Pirelli e Metzeler: un lavoro difficilissimo, ma fu un periodo meraviglioso. Come mentore e maestro  io avevo avuto Valter Villa (quattro volte campione del Mondo 250 e 350 GP, ndr) che era il nostro tester principe. La fusione con Metzeler mi permise di entrare in contatto con realtà industriali che non conoscevo, per esempio il mondo BMW. Lì conobbi personaggi come Helmut Dahne, che era entrato in BMW da operaio e divenne uno dei piloti più famosi del colosso tedesco, specie nell’Endurance per poi divenire tester Metzeler.

Testimone di una rivoluzione tecnica

Pirelli in quel periodo aveva l’impellente necessità di rivoluzionare i processi di costruzione delle gomme da moto, perchè il nostro competitor più rilevante, la Michelin, aveva cominciato a sperimentare novità molto importanti.  Ci trovammo obbligati a spingere forte sulla ricerca (ancora una volta con Piero Misani come primo attore)  per dare una risposta forte come Pirelli e come Metzeler. Il colpo di reni che riuscimmo a dare fu impressionante, perché introducemmo la modalità costruttiva “zero gradi acciaio” che a partire dai primi anni ’90 ha rivoluzionato il settore, diventando il nostro segno distintivo. Ancora oggi ci permette di coprire ogni esigenza di sviluppo, su gomme di differente utilizzo. In epoche successive non ci siamo fermati, abbiamo introdotto altre tecnologie di altissimo livello nella costruzione degli pneumatici, ma che non prescindono mai dal concetto “zero gradi”, che è stata la nostra pietra miliare, un concetto rivoluzionario nella costruzione dei pneumatici moto.

Dai collaudi alla gestione delle corse

Negli anni ’90 si pose la necessità non solo di padroneggiare il mercato delle stradali ma anche quello di affermare questa tecnologia attraverso l’attività sportiva. Volevamo sfidare i concorrenti più forti in campionati che avessero un collegamento alla serie. La Pirelli era già forte, nel 1989 avevamo vinto il Mondiale Superbike con Fred Merkel ma utilizzando una tecnologia di costruzione tradizionale. Inoltre quelle gomme erano di nicchia, fatte essenzialmente per correre, con scarse ricadute e collegamenti con le gomme di produzione. Invece con lo “zero gradi” volevamo lanciare il messaggio che la nostra rivoluzione tecnologica sarebbe stata vincente in ogni campo: competizioni e mercato.

Campioni con le ali

Fu una sfida meravigliosa. Venni chiamato a gestire oltre che la Sperimentazione anche l’attività sportiva di vertice a partire dal ’93. Lo sport doveva essere la molla per sondare nelle condizioni di utilizzo più spinte tutte le potenzialità dello “zero gradi”. Nel ’93 puntai su un pilota belga, Michael Paquay, e vincemmo l’Europeo Supersport (a quei tempi non c’era ancora il Mondiale, ndr) al primo colpo, aprendo un ciclo. Perchè poi vincemmo con Yves Briguet, e in seguito di nuovo con Paquay, stavolta con la Ducati, in coppia con Marco Lucchinelli in un team gestito da Francois Batta. L’anno dopo la vittoria  arrivò con Fabrizio Pirovano, sempre con il team Alstare di Batta. Nel ’97 si consumò il divorzio  con il team Alstare che continuo’ in Supersport sempre con Fabrizio Pirovano e Stephane Chambon con un altro marchio (Michelin, ndr) e noi puntammo su Paolo Casoli gestito da Stefano Caracchi. Vincemmo noi. In quella stagione introducemmo una novità molto importante, cioè la costruzione “zero gradi” anche sull’anteriore, che da allora caratterizza la nostra produzione. 

Un tester da record

Nel frattempo volevamo spingere a tutto tondo sulla versatilità di queste soluzioni. Nel ’94 avevamo conquistato insieme a Suzuki Deutschland sei record di velocità sul tracciato di Nardò, grazie ad una capacità organizzativa e di supporto importante. Io personalmente ebbi il grande onore di legare il mio nome insieme a quello di Valter Villa nel primato sull’ora oltre che realizzare in solitaria il primato sui 100 km ad oltre 260 km/h di media.  Questo certificò la forza di questa nuova tecnologia. Nel 2004 siamo diventati fornitori unici di gomme in Superbike, una storia di prestigio che dura tutt’ora grazie al grande talento gestionale di Giorgio Barbier, cui passai nel 2000 il testimone delle corse. Sempre fra fine/metà anni ’90 e inizio del nuovo secolo la struttura che dirigo si è  affacciata anche  al mondo del fuoristrada agonistico e da allora ci occupiamo attivamente dei collaudi di sviluppo nel settore.  Siamo leader in MXGP e in altre serie top del motocross dove abbiamo collezionato più di 75 Campionati del Mondo.

Quella volta che….

Pirelli sa valorizzare le opportunità e le persone. Io devo veramente tantissimo a quest’azienda. Ci sono entrato da ragazzino, mi ha fatto crescere come persona, come professionista, come uomo.  Ho potuto coronare il mio sogno, entrare nel Gotha del mondo che amo. Sono arrivato perfino a fare il collaudatore della Cagiva 500GP, nel ’92, quando con un permesso speciale da parte della azienda, facevo in gran segreto  i test delle moto di Eddie Lawson e Alex Barros sul bagnato. L’ho usata per un anno e mezzo, io facevo dei test di confronto con altri pneumatici: Dunlop e anche Michelin, che allora era fornitore Ducati in Superbike. Oggi non sarebbe plausibile un “mischione” di questo genere, a quei tempi succedeva. Pensa com’è piccolo il mondo: il capo del test team Cagiva era Romano Albesiano, l’attuale direttore tecnico Aprilia in MotoGP.

I miei sogni spettacolari

Credo di essermi  guadagnato una certa autorevolezza e una buona  credibilità internazionale. Ho guidato su  tutti i proving ground delle Case giapponesi, europee e americane. Ho girato dovunque in Giappone provando le nostre gomme sui prototipi di sportive stradali. Grazie alla Pirelli, sono riuscito ad esaudire tutti i sogni più spettacolari che un collaudatore può avere. Ho fatto 20 mila chilometri sul vecchio Nurburgring, la Nordschleife, Sud Africa, Indonesia, America Latina. Ho girato al TT. Siamo riusciti a portare nel mondo reale il collaudo ad alto livello di pneumatici, siamo usciti dalla dinamica dei test in laboratorio. Da fine 2005 collaudiamo ogni gomma a fine sviluppo nelle condizioni più impegnative. Ho fatto dei raid da Capo Nord fino a Dakar, con un gruppo di tester attentissimi a rilevare le reazioni degli pneumatici nelle condizioni più disparate. Ho guidato da Anchorage (Alaska) fino a Miami (Florida) con pneumatici adatti alle cruiser, collaudati nei differenti contesti che i motociclisti americani affrontano. Ho avuto la possibilità di segnare record mondiali non solo di velocità ma nel 2017 anche  di altitudine estrema nelle 24 ore. Sono partito dalla costa cilena scalando le Ande fino a 6000 metri. Ho navigato nel Sahara Sud Occidentale, sul deserto dell’Atacama, in Mongolia nel deserto del Gobi. 

Accarezzando il rischio

Mi chiedono spesso se fare il collaudatore comporta dei rischi. Certamente, ma ben calcolati e controllati. In Pirelli abbiamo investito tantissimo in sicurezza. Abbiamo un reparto HSE dotato di grandi competenze che ci assiste curando ogni aspetto: programmi di test, equipaggiamento, condizione fisica. Siamo stati pioneri della tecnologia air bag sulle tute, che adesso per i nostri collaudatori sono obbligatori. Abbiamo attenzione certosina sui programmi di allenamento. Lavoriamo sulla sicurezza passiva dei circuiti che utilizziamo, adattando le nostre metodologie. I tester sono formati bene nella capacità nell’interpretare i segnali che il corpo manda in caso di stanchezza, allentamento dei riflessi. Abbiamo una palestra specificamente attrezzata all’interno del nostro centro collaudo.

La mia vita privata

Ho l’impressione di essere sposato da…sempre. Con mia moglie, Flavia, ci siamo conosciuti che lei aveva 14 anni, io 18. Stiamo ancora insieme. Mi ha aiutato veramente tantissimo nella mia carriera. All’inizio io ero divorato dalla voglia di emergere, non era facile stare con una persona sempre via. Ho sempre avuto dietro una famiglia molto serena, che ha sempre accettato quello che facevo. Ho tre figlie e quattro nipotini ( ed un altro in arrivo …) . Ogni giorno che passa mi rendo conto di aver vissuto una vita molto appagante, molto felice. Ci sono stati anche momenti dolorosi, certo. In questo lavoro a volte ti rendi conto, a casa tua o in paesi lontani, che ci sono sedie vuote al tavolo delle riunioni, perchè qualcuno non c’è più. Il pilota tuo amico,  con cui hai lavorato e vinto, un giorno manca. E questo ti segna. Momenti che rimangono scolpiti nella tua anima e che si superano credendo al contributo che si è dato alla evoluzione della sicurezza dell’andare in moto. E immergendoti ancora di più nel tuo lavoro. E andando avanti.  Ho una bella casa, mi godo delle belle vacanze al mare, con la mia barca.

Pirelli mi ha dato tutto

Pirelli non solo ha realizzato il mio sogno di lavorare in questo mondo, ma mi ha dato la possibilità di costruire una realtà molto importante qui in Sicilia, a casa mia. E per questo non smetto di sentirmi in debito. All’inizio il colpo di fortuna è stato nascere vicino ad un loro grande stabilimento, ma intorno,  in tanti anni ci abbiamo costruito un mondo. Sono riuscito a dimostrare all’azienda che investire qui in Sicilia avrebbe comportato tanti vantaggi, capacità di formare personale locale, con l’aiuto delle Università, delle amministrazioni del territorio. Pirelli ti dà l’opportunità, mi ha dato la possibilità di sfruttare il potenziale mio personale e della terra che io amo. E’ stato importantissimo. Oggi qui in Sicilia lavorare in Pirelli ha un prestigio e una valenza assoluti, anche sociale. Abbiamo creato un legame con il territorio molto forte, che ha un proprio valore. Questi ragazzi siciliani possono competere nel mondo ai massimi livelli. Stando qui, a casa loro. 

Una bella storia siciliana

Sono stato protagonista di una bellissima storia italiana. Questo è quanto mi gratifica di più. La Pirelli crede nell’uomo e dà opportunità. Lavorare per un’azienda che riconosce i meriti e che sa dare opportunità è una cosa bellissima. Da anni, come dicevamo, dirigo il centro Sperimentazione Pirelli a Giarre (Catania) e poco a poco siamo diventati  un serbatoio di talenti, abbiamo creato una scuola di riconosciuto valore mondiale. Questa è la più grande  delle mie soddisfazioni professionali, mi dà l’intima convinzione di aver speso bene la mia vita. Sono veramente felice, ho vissuto un’avventura fatta di motorini e gomme, che ha coinvolto e dato benessere all’azienda, ma soprattutto a tantissime persone. Pensa…. se fossi rimasto in famiglia avrei continuato a gestire una grande azienda agricola e fare il benestante in una tranquilla atmosfera di provincia. Magari grasso e pieno di acciacchi…. (ride, ndr) . Ma evidentemente non era questo il mio destino. La campagna non mi bastava, sono andato dietro all’odore di benzina e gomme, è stato un percorso meraviglioso.

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