2 Febbraio 2024

Brand ambassador: chi è e com’è cambiato nel tempo?

Dalla moto ai piloti, le aziende hanno cambiato il modo di farsi rappresentare agli occhi del pubblico. Ecco come

Valentino Rossi, brand ambassador

Correre richiede un impegno economico molto ingente alle industrie motociclistiche, che quindi hanno l’imperativo di massimizzare al massimo l’investimento. I successi sportivi danno lustro, aumentano il prestigio del marchio ma evidentemente da soli non bastano. Serve alimentare i sogni di clienti e prospect in maniera permanente, magari anche quando – e soprattutto – i risultati della pista non sono così brillanti.

Fino ad una ventina d’anni fa, cioè nel motociclismo del secolo scorso, alcune aziende impegnate nelle corse disponevano del “brand ambassador” per via…naturale. Prendete Giacomo Agostini: ha vinto dodici dei suoi quindici titoli Mondiali con la MV Agusta, per cui l’immagine di Ago è andata quasi sempre a braccetto per quella del marchio. Senza spot né scenette in pista: vincere, a raffica, era più che sufficiente.

Ai tempi eroici gli sponsor erano una rarità e le fabbriche investivano nelle corse per prestigio, a volte anche quello personale dei singoli proprietari, si pensi al Conte Agusta nel caso citato. Fino agli anni ’80 era la moto la vera “ambassador” delle competizioni. Prototipi come la Suzuki RGB 500 sono diventati mito, più dei singoli piloti che l’hanno guidata e ci hanno vinto.

Il cambio epocale

Le cose sono cominciate a cambiare negli anni 90, l’epoca dell’arrivo delle multinazionali del tabacco e soprattutto della svolta marketing per eccellenza, cioè l’arrivo di un promoter (Dorna Sport) detentore dei diritti tv e pubblicitari del Motomondiale, acquisiti dalla Federmoto Internazionale. Non caso, i primi veri Brand Ambassador sono due campionissimi di quell’epoca: Mike Doohan, australiano cinque volte iridato nella 500, e Kevin Schwantz, texano vincitore di un solo titolo ma reso celeberrimo dal suo spericolato e inimitabile stile di guida. Tutt’ora, a distanza di decenni dai loro ultimi successi, rappresentano Honda (Doohan) e Suzuki (Schwantz) non solo ai GP della top class, ma anche ad eventi corporate in giro per il Mondo. Nella foto d’apertura: Schwantz posa accanto a Rossi.

Tempi moderni

Ai giorni nostri, praticamente tutte le aziende impegnate nel motorsport hanno il loro “ambasciatore”. La Ducati, in virtù del dominio in pista, punta sulla freschezza di Pecco Bagnaia, da due anni campione del Mondo MotoGP. Oltre alla Ducati, il pilota piemontese, 27 anni, è testimonial di TIM, il gigante della comunicazione che da molti anni sponsorizza la squadra corse bolognese in top class. Bagnaia è un fuoriclasse in pista, ma sul piano del carisma non ha ancora “bucato il video”, non è paragonabile a personaggi più istrionici e comunicativi alla Valentino Rossi. In ogni caso TIM lo ha scelto per rappresentare il marchio in una serie di campagne multimedia, anche una serie di spot per la TV.

“La scelta di un ambassador è un’operazione strategica, va fatta di testa oltre che di cuore e di pancia.” spiega Giulia Sormani, direttrice tecnica del Master in Design the Digital Strategy del del Politecnico di Milano “Si tratta infatti di decidere a quale figura associare il proprio brand ed è necessario capire se i valori che lei o lui veicola siano coerenti con la nostra identità e l’immagine che vogliamo trasmettere. Non a caso, il valore di una marca – in gergo la sua equity – si misura anche in base alle sue cooperazioni.”

Il caso Max Biaggi

Aprilia e Yamaha, non potendo vantare successi a ripetizione in MotoGP, da anni puntano su testimonial non più in attività, ma con un fascino inattaccabile dal tempo. La marca veneta si è legata a Max Biaggi, un connubio naturale, per vari motivi. Non solo il pilota romano, 52 anni, ha vinto cinque dei suoi sei titoli Mondiali con l’Aprilia, ma ha chiuso la carriera proprio con questo marchio. Per altro firmando un’autentica impresa, cioè cogliendo l’alloro Superbike nel 2012 a 41 anni d’età, finora il pilota più longevo ad essersi laureato nel campionato delle derivate dalla serie. Biaggi rappresenta Aprilia ogni GP, ma anche eventi corporate che l’azienda del Gruppo Piaggio dedica ai clienti dei modelli più sportivi. Max è un “brand ambassador” ideale: il ricordo dei suoi trionfi è ancora fresco, ma non disdegna di andare lui stesso in pista con gli appassionati Aprilia. Girare in pista a fianco di un campione che ha scritto pagine di sport leggendarie è un’operazione di marketing activation elettrizzante!

Il caso Valentino Rossi

Il legame fra il Valentino nazionale e la Yamaha è ancora più originale. Ritiratosi dalla MotoGP a fine 2021, il nove volte iridato dalla stagione successiva ha cominciato a schierare il suo team personale nello stesso campionato. Ma non utilizzando moto Yamaha, bensì la Ducati, preferita per la superiore competitività. Quindi il pilota italiano più famoso di ogni epoca, alla pari con Giacomo Agostini, si è trovato in conflitto d’interessi: testimonial Yamaha e …cliente Ducati!

Questo doppio ruolo non è stato giudicato affatto un impedimento dai dirigenti del marketing Yamaha. Del resto Valentino da oltre vent’anni non è solo il pilota di moto più conosciuto a livello globale, ma un “brand” esso stesso, ancora conosciutissimo ed apprezzato in ogni mercato, sia quelli più maturi che gli emergenti. Basta un solo dato per rendersi conto del valore di Rossi: su Instagram ha 16 milioni di follower, più di quanti ne abbia il profilo del campionato che lo ha reso celeberrimo, la MotoGP, a quota 15,1 milioni. Quindi si può dire che, almeno in termini di coinvolgimento social, Valentino valga più del Mondiale stesso. E non corre da oltre tre anni!

Questo fa capire perché Yamaha ha chiuso un occhio sul doppio ruolo di testimonial e gestore di un team che usa moto di un marchio concorrente. In attesa che dal 2025, come molti prevedono, la VR46 lasci la Ducati per diventare team satellite Yamaha. A quel punto il cerchio sarebbe chiuso.

La lezione ai piloti di oggi

Rossi e Biaggi tuttora così preziosi sono una sorta di “lezione” per la stragrande maggioranza dei piloti di oggi. Solo Pecco Bagnaia si eleva, in virtù dei due mondiali MotoGP conquistati negli ultimi due anni. Tutti gli altri sono ritenuti, ad oggi, poco adatti a ricoprire il ruolo di Brand Ambassador. Non hanno titoli, vincono poco e sono scarsamente carismatici. La sovraesposizione mediatica li rende eccessivamente “alla portata” di tutti, diminuendo il fascino del personaggio “irraggiungibile”, “esclusivo” che sono fra le principali leve del marketing. I social sono un’arma a doppio taglio: avvicinano il pilota-attore al pubblico, ma con il rischio di farlo diventare troppo “familiare”. Ci sono poi motivi di ordine pratico: con 22 GP l’anno, di due gare ciascuno, i piloti di oggi sono scarsamente inclini a prestarsi ad operazioni promozionali. Non ne hanno il tempo, neanche se volessero. Questo per sponsor e aziende motociclistiche è un problema sempre più grave. Investire decine di milioni in un determinato progetto sportivo e poi avere difficoltà a sfruttare il potenziale marketing del protagonista principale, ovvero il pilota. Sia che in pista che tra un GP e l’altro.

Ecco perché puntare su Biaggi e Rossi è un doppio affare: sono più carismatici dei piloti di oggi, e soprattutto hanno più disponibilità per le PR…

Foto: Instagram

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