31 Maggio 2022

La MotoGP dopo Rossi non sa più raccontarsi, imparate dalla F1

La MotoGP non offre più storie capaci di attrarre il pubblico generalista: il Mugello non è andato bene, anche anche altri GP sono in calo. La F1 invece è in pieno boom.

MotoGP, Mugello

La MotoGP piange un calo di pubblico che stordisce: al Mugello 74.078 spettatori nei tre giorni, contro 139.329 nell’edizione 2019, l’ultima pre pandemia. Ci sono mille attenuanti, ma parliamo della tappa italiana più prestigiosa e anche più amata dal pubblico. Non è neanche un problema di caro biglietti: il prato a 90€ è lo stesso da anni. “Al Mugello non si dorme”, era il refrain che celebrava quel clima di festa un pò sguaiata ma accattivante. L’evento univa appassionati di lunga data e tifosi al seguito di Valentino Rossi, l’icona del primo ventennio del secolo motociclistico. Spentasi la stella per raggiunti limiti d’età, è calato il sipario. Ma è proprio così semplice, o ci sono motivazioni più profonde?

Agostini come personaggio valeva più di Rossi

Tutti gli sport di massa fanno i conti, periodicamente, con il declinare delle proprie icòne. Quando ha smesso di giocare Diego Maradona, il calcio non è morto. Così com’è sopravvisuto lo stesso Motomondiale nel dopo Giacomo Agostini. Che, ricordo per chi negli anni ’70 non c’era, è stato un personaggio ancor più grande di Valentino Rossi. Non perchè ha vinto più Mondiali (quindici contro nove di VR46) ma per la capacità di attraversare più mondi: Ago, al culmine della carriera, è stato attore protagonista in quattro film di gran successo. Inoltre i suoi fotoromanzi, dove interpretava lui stesso, andavano a ruba. Giacomo non era solo un grandissimo campione dello sport, ma anche sex simbol e icona pop. La folla che assisteva al GP delle Nazioni a Monza era oceanica. E ai suoi tempi non c’erano i social, e neanche uno straccio di diretta TV. Ritiratosi lui, il motociclismo non è morto. Spuntò Marco Lucchinelli, che negli d’oro ha cantato in mondovisione a Sanremo la sua “Stella Fortuna”. Vale ci ha mandato la fidanzata…

Piloti fuori dal contesto

Il vero problema non è il ritiro di Valentino Rossi, ma l’incapacità di raccontarsi della MotoGP di oggi. Mancano storie e caratteri forti, cioè una narrazione che spinga la gente ad appassionarsi. Pecco Bagnaia e Fabio Quartararo, i più veloci del momento, sono bravi ragazzi che non dicono nè fanno mai niente fuori dalle righe. Belli, educati, corretti in pista: Bagnaia ancor di più, con quell’elegante aplomb sabaudo. Dal punto di vista drammaturgico, cioè del racconto, sono atleti completamente avulsi dal contesto che caratterizza lo sport che fanno. Il motociclismo è uno sport a-normale, perchè è da pazzi correre a 363,6 km/h fra le colline del Mugello. Adreanalina a fiumi, odore di benzina, il rischio nell’aria. Questi sono i sapori e gli odori del nostro mondo, quelli che la gente ama e cerca. C’è bisogno di piloti “duri e puri”, che si accapigliano, si scontrano, cadono e si rialzano.

L’infortunio di Marquez è il peggio

Marc Marquez, in quest’epoca moderna, è unico. Ai suoi tempi era il vincitore seriale che appassiona sempre: se lo ami speri che non smetta mai di primeggiare, se lo odi guardi le gare sperando che prima o poi perda. Ma due anni corre menomato, è stato come se non ci fosse. Adesso rischia perfino il ritiro. Rossi non vinceva da anni, la vera icona di quest’ultimo periodo è stata Marquez, cioè l’anti-Vale. Adesso è fuori anche lui, questo è il vero guaio.

Il Motomondiale è zavorrato

Alla MotoGP manca la capacità di rinnovarsi. E’ un ambiente conservatore, in ogni senso. Il promoter (la spagnola Dorna) è lo stesso dal 1992 e il capo è un signore di 76 anni. Carmelo Ezpeleta è un manager espertissimo di giochi di potere sportivo, ma è naturale che non padroneggi le delicate dinamiche dello sport business di oggi. Dorna è convinta che “modernità” significhi qualche cinguettio in più su Twitter, o sbarcare su Istangram e TikTok. Sbagliato: i social sono niente se non hai contenuti “forti” da metterci dentro. Guardate la F1. Bernie Ecclestone l’ha resa grande per un trentennio, ma ultimamente era diventata una serie noiosa seguita solo da irriducibili ultra cinquantenni. Liberty Media, cioè un gigante mondiale dell’enterteinment, appena arrivata ha rinnovato tutto. Non coi social, che al massimo sono lo specchio riflettente di quello che ti inventi, ma introducendo nuove idee. Alcune sembravano folli, però funzionano.

Imparate dalla F1

La F1 oggi si vende benissimo, miscelando tutto quello che serve: rivalità spinte allo spasimo, regolamenti “adattabili” allo show, glamour. La MotoGP è gestita come fosse la fiera del paese, mentre durante la diretta F1 ti fanno vedere che ci sono anche Brad Pitt e George Lucas. Ancora peggio: le moto stanno esorcizzando e nascondendo il rischio. Le gare vengono descritte come fossero un fumetto e le cadute un video gioco. Manca il pathos, quel culto del brivido che invece – lo vogliate o no – è l’elemento preponderante del motorismo in ogni declinazione. In F1, seppure con le dovute accortezze, il rischio e il coraggio dei piloti sono esaltati sotto ogni forma. Non per niente la serie Netflix che scatenato nuovi entusiasmi, perfino negli Usa, si chiama “Drive to Survive. Nel teaser i claims sono: “E’ uno sport spietato”, e “La F1 è una guerra”. La MotoGP di oggi si vende come il party dei bravi ragazzi. Tramontate le feroce rivalità Marquez-Rossi-Lorenzo, logico che la MotoGP non funzioni più. Dorna era convinta di portare gente al Mugello mostrando Valentino Rossi in borghese sul rettilineo a ritirare il numero 46. Non hanno capito una cosa semplicissima: i piloti, nel momento preciso che smettono, non tirano più. Sennò basterebbe ancora Giacomo Agostini.

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