23 Ottobre 2022

Inizia l’epoca della Superbike fai da te: dai ragazzi, siamo seri

Nel Mondiale Superbike verranno introdotte le "super concessioni": chi non vince potrà adattare il telaio come preferisce. La strada sbagliata.

Scott Smart,Superbike

Negli ultimi tre anni hai speso decine di milioni per essere competitivo nel Mondiale Superbike e non ci stai riuscendo? Non è servito a niente cambiare piloti, squadre e organizzazione? Nessun problema: con l’ultima trovata delle “super concessioni” se oggi stai annaspando nel buio più fitto, l’anno prossimo potrai modificarti il telaio come ti serve. Così speriamo che ce la farai… Sembra uno scherzo, invece succederà sul serio.

Per aiutare le marche che non vincono, in Superbike c’erano già le concessioni normali: permettevano di introdurre componenti motore evoluzione rispetto a quelli omologati ad inizio stagione. Ma a Honda HRC e BMW, perchè di loro stiamo parlando, non sono servite a niente. Sia la CBR-RR che la M1000RR hanno motori bomba e cavalli in abbondanza. Ma a dispetto degli sforzi, i risultati restano deludenti. Dall’anno prossimo, con l’extra aiutino, magari svoltano.

Ma chi ve le mette in testa?

La brillante idea è venuta a Federmoto e Dorna, cioè l’ente sportivo e il promoter della Superbike. Che in definitiva sono una cosa sola, perchè – tanto per citarne uno – il direttore tecnico Superbike, il britannico Scott Smart (nella foto) ha il cappellino FIM ma ci è arrivato passando per la struttura del gestore spagnolo. La filosofia ispiratrice è: “Vogliamo che in Superbike tutti i marchi che investono possano mettersi in luce.” Le ragioni sono comprensibili, ma se ci pensate è l’antitesi della competizione, la cui ratio – da che mondo è mondo – è opposta: uno vince, gli altri perdono. Soprattutto l’egualitarismo da corsa contrasta coi principi del marketing perchè la popolarità di una serie è legata a filo doppio ai vincitori seriali e ai loro antagonisti. Il caso Valentino Rossi dovrebbe insegnare qualcosa. Nel motorismo d’elite più ristretto è il “winner circle”, meglio è.

Ma le regole Superbike, ancor più della MotoGP, se le fanno direttamente i Costruttori. Pare normale, ma mica tanto: è come se Inter, Milan e Juventus decidessero quando è fuorigioco o rigore. Fra l’altro la MSMA non rappresenta l’intera industria da corsa mondiale, ma un pugno di aziende che investono nelle due principali serie del motociclismo. Dorna e FIM gli danno ascolto perchè l’impegno dei Costruttori alimenta il business e tiene in vita l’intero castello. Il problema è quando gli interessi di qualche azienda sovrastano quelli generali, come si rischia nel caso delle “super concessioni”.

Chi ci capisce qualcosa?

Il super bonus scattera in base al meccanismo dei “concession points”, cioè in base ai piazzamenti di ogni singola gara con un orizzonte di tre round Mondiali. Scott Smart la spiega così: “Questo sistema ci offrirà la fotografia della performance di ogni Casa. Sostanzialmente prendiamo i tre sul podio e utilizziamo il loro 75% di giri migliori e poi calcoliamo un tempo medio di gara per il podio. Poi lo paragoniamo a quello dei due migliori per ogni costruttore e quindi abbiamo un riferimento davvero ottimo. Abbiamo i migliori di due di ogni Casa contro ciò che ti serve per salire sul podio. È così che acquisisci punti concessione”. Voi ci avete capito qualcosa? A me sembra una delle quelle leggi scritte in un italiano indecifrabile, in modo che si possa applicare ogni volta come comoda.

La strada sbagliata

A forza di dare spazio alla MSMA, cioè agli interessi dei Costruttori, le regole Superbike sono diventate un pastrocchio assoluto. Di base, si possono fare pochissime modifiche rispetto al modello di serie, per cui risulta difficile equilibrare le prestazioni moto vendute a 20 mila €, tipo Yamaha e Kawasaki, con prototipi omologati per la strada, come la Ducati Panigale V4 R, che costa il doppio. In WorldSBK l’elettronica è libera, sia centralina che software, mentre perfino in MotoGP è unica. Non ci sono vincoli perchè BMW vuole usare la propria elettronica proprietaria e ha puntato i piedi a qualsiasi standardizzazione. La lista potrebbe continuare a lungo.

La storia insegna

Il regolamento Superbike ha sempre fatto discutere, ieri più di oggi. Le polemiche sulla maggiore cubatura concessa al bicilindrico Ducati hanno tenuto banco per due decenni, e in un certo senso erano parte dello show, esattamente come le diatribe tecniche fra team in F1. Ma, di base, le norme erano molto più permissive. Le Superbike della prima stagione, 1988, avevano sella e manubrio da stradale, ma motori preparatissimi. Infatti tuner come Giuseppe Russo (Yamaha), il belga Jean D’Hollander (Honda) o Pietro Gianesin (Ducati) erano notissimi e facevano la differenza. Questo genere di figure tecniche sono scomparse dai radar.

Claim Rule

Se Kawasaki e Yamaha potessero mettere mano al motore, e cambiare più o meno quello che vogliono, Bautista non riderebbe più sotto la visiera ad ogni sfrecciata sul rettilineo. Per tenere a bada i bollenti spiriti, cioè i costi, basterebbe restaurare le “claim rule” che veniva adottata nella Superbike americana. Cioè assegnare a ciascun componente tecnico (motore, sospensioni, elettronica freni, telaio) un prezzo base, e dare la possibilità al team concorrente di acquistarlo. Non su un catalogo, ma proprio quel singolo pezzo smontato. Così la Superbike riconquisterebbe il fascino di un tempo, si farebbe capire e tornerebbe a contatto con gli appassionati. Proprio quello che oggi manca.

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