30 Luglio 2022

Ducati quota mille: quanta strada hai fatto, nostra bellezza in Rosso

Mille podi in 36 anni di Mondiale Superbike: Ducati scrive una pagina leggendaria delle corse. Questa è l'Italia come piace a noi

Ducati, Superbike

La prima volta si presentò in circuito con la Ducati 851 di Marco Lucchinelli caricata su un furgoncino OM Tigrotto, un reperto delle Partecipazioni Statali anni ’70. Era l’aprile 1988, eravamo a Donington, e stava cominciano la saga del Mondiale Superbike. Quando il motore bicilindrico ad L si accese, il paddock si fermò come d’incanto, richiamato da quel suono strano e maledettamente affascinante. L’incantesimo durò fino alla domenica pomeriggio, quando il Lucky nazionale scalò il podio fino alla posizione più nobile. La Ducati era arrivata avventurosamente da Bologna, ma ripartiva con la corona d’alloro orgogliosamente esibita sul cofano. Loro non potevano immaginarlo, ma quell’improbabile manipolo di tecnici geniali e un pò folli, capitanati dagli ingegneri Massimo Bordi e Giangluigi Mengoli, supportati nel box dal mitico Franco Farnè, era l’avanguardia di un esercito. Anno dopo anno, impresa dopo impresa la Ducati è diventata una macchina da vittoria. Mietendo 31 titoli Mondiali (17 Costruttori, 14 Piloti) e la bellezza di 313 vittorie. E portando 52 piloti per 1000 volte sul podio.

La Superbike è il vero DNA della Ducati

Per una quindicina d’anni, dal 1988 al 2002, Ducati è stata la Regina indiscussa della categoria. A suon di vittorie, la marca italiana che i fratelli Castiglioni avevano rilevato dalla fallimentare gestione statale, era diventata una multinazionale. Diventando uno status simbol, un fatto di costume, esattamente come la Superbike. Per un’intera epoca il successo della moto più vincente e quello del campionato cui prendeva parte è andato a braccetto. Per questo, nel 2003, quando Ducati decise di saltare il fosso e impegnarsi anche in MotoGP, tanti appassionati e clienti lo videro come un tradimento. Il marchio passato sotto il controllo Audi sta profondendo grandissime energie per vincere in top class. Ma hai voglia di correre nella serie delle star, il cuore ducatista batterà sempre più forte per il vecchio amore Superbike.

L’Italia che ci piace

Anche se l’azionista di maggioranza è tedesco, bisogna dare atto che Ducati continua a sprizzare italianità da tutti i pori. Non potrebbe essere altrimenti, visto che le menti che progettano, i meccanici che costruiscono e tutti gli uomini e donne che lavorano per fabbricare successi, sono italiani. Neanche Honda, il gigante più gigante del pianeta moto, può vantare numeri simili. Cioè una tale mole di trionfi accumulati facendo correre moto derivate dalla produzione di serie di ben sei generazioni differenti. Dalla mitica 851 V2 a L di Marco Lucchinelli fino alla Panigale V4 R di Alvaro Bautista, passa davanti agli occhi una fantastica carrellata di ricordi, tecnologia, intuito. Una vena che non si esaurisce e trova in ogni nuovo progetto nuova linfa per continuare a vincere. Questo è il made in Italy che ci piace.

Manca la ciliegina

Dall’alto di un palmares di questo genere, Ducati però non vince il Mondiale Superbike dall’ormai lontano 2011, con Carlos Checa. E, risvolto ancor più doloroso, l’ultimo missile rosso, cioè la Panigale V4 R, non ha mai conquistato l’iride, pur portando in cascina ben 70 vittorie. Cancellare queste macchie renderebbe la saga in Rosso davvero inimitabile. L’ultimo passo tocca ad Alvaro Bautista, che nel minuscolo tracciato di Most, in Repubblica Ceca, ha tagliato il mirabolante traguardo dei mille podi. Con la vittoria di oggi, la settima dell’anno, lo spagnolo ha fatto un altro passettino. Ma il traguardo è ancora lontanissimo, anche se metà cammino l’inerzia sembra favorevole. Adesso Ducati è un’armata formidabile e nel paddock giganteschi van (rossi) hanno preso il posto dell’OM Tigrotto dell’epoca che fu. Manca solo la corona d’alloro sul cruscotto. Quella più sofferta sarà una delle più belle da conquistare.

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