10 Maggio 2020

MotoGP: Aprilia RS Cube, ricordi di una sinfonia a tre cilindri

Tra il 2002 ed il 2004 Aprilia ha portato in MotoGP l'innovativo prototipo RS Cube, progetto però poco fortunato. Ecco la sua storia.

L’Aprilia RS Cube (spesso erroneamente chiamata RS3 o RS3 Cube, a causa della scrittura del suo nome: RS­³ ), è un prototipo che ha partecipato al Mondiale MotoGP dal 2002 al 2004. Presentato all’EICMA nel 2001, è alimentato da un motore 3 cilindri in linea 990cc 4 tempi. È stato sviluppato con entità derivate dalla F1 via Cosworth, portando molte caratteristiche mai viste prima nello sviluppo di moto. Ad esempio valvole pneumatiche, controllo della trazione ed il ride-by-wire.

Tra le moto che hanno maggiormente attratto e suscitato interesse   c’è sicuramente l’Aprilia RS Cube. Un mezzo che, grazie alla sua tecnologia avanzata e al motore a tre cilindri, ha fatto sognare nella speranza che potesse  battere lo strapotere giapponese,  grazie all’inventiva tecnica di cui solo gli italiani sono capaci.

Un po’ di storia

C’è stato un tempo in cui anche le competizioni motociclistiche hanno fatto rima con la sperimentazione. Tecnici e designer hanno fatto galoppare la fantasia, pensando a schemi di realizzazione di prototipi multicilindrici di ogni tipo. Questa era, iniziata negli anni ’50, si è conclusa nella seconda metà degli anni ’70. L’arrivo del 2 tempi nella categoria 500 infatti sancì il dominio dello schema a 4 cilindri.

Tuttavia, nel corso degli anni, ci sono stati altri due momenti in cui la fantasia di alcuni  ha fatto nuovamente galoppare forte lo spirito di ricerca. All’inizio degli anni ’80, la Honda cercò di combattere alla pari di 2 tempi con un motore a 4 tempi: la chimera NR dai pistoni ovali. Un seguito nei primi anni 2000, quando le nuove normative MotoGP hanno dato ai progettisti una grande libertà e incoraggiato soluzioni esotiche. Con una relazione particolare tra peso e numero di cilindri.

Al fine di concentrare i propri sforzi sul nuovo progetto, Aprilia scelse di rinunciare all’ultima stagione in 500cc 2 tempi. Tre uomini, due italiani e un olandese, decisero di sviluppare un audace prototipo per la nuova categoria. Qualcosa di esotico per l’epoca, e soprattutto la moto più potente della nuova categoria MotoGP 990, un concentrato di potenza al…Cubo.

Uno era Ivano Beggio, storico presidente di Aprilia e icona degli anni del boom dell’industria motociclistica italiana. C’era poi Jan Witteveen, progettista dei motori a 2 tempi più efficienti e capo del reparto corse Aprilia Racing. Infine Luigi Dall’Igna nel ruolo di project manager. E’ considerato  uno dei più famosi ingegneri del mondo, autore di un capolavoro vincente chiamato Aprilia RSV4.

Il risultato di questa unione italo-anglo-olandese fu un magnifico motore a 3 cilindri, di incredibile potenza. Quasi diabolico per l’epoca: 240 cavalli, che superarono i 260 cavalli nelle ultime versioni. Una potenza che sarà raggiunta (e quindi superata) dagli avversari quando la categoria MotoGP tornerà alla cilindrata di 1000cc (2013).

Oltre all’architettura a 3 cilindri, il motore presentava tre caratteristiche innovative ed all’avanguardia per l’epoca. Valvole pneumatiche, che dal 2008 sostituiranno definitivamente le classiche a molla presenti in tutti i prototipi della MotoGP. Controllo elettronico dell’acceleratore (ride-by-wire). Infine, la frizione in carbonio. Le dimensioni complessive erano molto compatte, molto simili alla vecchia 500, ma soprattutto poteva sfoggiare una leggerezza invidiabile: 135 kg a secco, contro 148 kg per i 4 e 5 cilindri.

Perché un 3 cilindri?

Aprilia aveva preso in considerazione diverse soluzioni, dal bicilindrico al 3 in linea, fino al V4. “Abbiamo scelto un motore a tre cilindri per diversi motivi” spiegò Ian Witteveen. “Abbiamo eliminato il V4 perché eravamo convinti che la maggior parte dei giapponesi avrebbe scelto questa soluzione. La nostra esperienza ci dice che per batterli devi seguire un percorso diverso dal loro.”

Ma soprattutto il V4, con prestazioni quasi equivalenti a un 3 cilindri, sarebbe stato condizionato da un peso di 10 kg. Secondo le regole della MotoGP infatti erano  avvantaggiate da questo punto di vista  le configurazioni a 3 e 5 cilindri. Inoltre, storicamente, il tre cilindri è un concetto tutto europeo. Witterwen aggiunse: “La nostra moto combina tutte le conoscenze acquisite in Superbike e MotoGP, utilizzando una tecnologia tipicamente europea.”

Un secondo motivo è che era facile da produrre su larga scala, con costi relativamente ridotti, paragonabili ad un V2. Ciò permise di considerare lo sviluppo di una replica stradale. O addirittura di una Superbike, seguendo un percorso diverso da quelli giapponesi. Loro non avrebbero mai prodotto motori a tre cilindri, nemmeno per una questione di immagine. È un motore di tradizione europea, anche nello sport.

“La terza ragione è che volevamo sfruttare i vantaggi della tecnologia F1 per sviluppare una centralina high-tech. Un tre cilindri di 990 cm³ ha una cilindrata di 330 cm³. Molto vicino ai motori F1 a 10 cilindri da 3,5 litri.”

In questo modo, il trasferimento di tecnologia era possibile, utilizzando molte parti della Formula 1 e risparmiando tempo. La fase di sviluppo del motore fu in effetti insolitamente veloce. La progettazione e lo sviluppo del motore vennero affidati ad  un piccolo team della Cosworth Racing a Northampton, passando dalla progettazione al computer alla pista in meno di 8 mesi.

Presentato al Motor Show di Bologna nel dicembre 2001, il motore a tre cilindri in linea RS3 da 990cc venne sviluppato in collaborazione con lo specialista britannico dei motori. Cosworth, che aveva già fornito assistenza in R&S ad Aprilia per lo sviluppo della sua V-twin RSV1000SP Superbike.

Sviluppo vicino a quello di una F1

In effetti, è stata l’esperienza di Cosworth nello sviluppo dei motori Formula 1 che portò Witteveen a produrre il primo prototipo MotoGP quattro tempi di Aprilia.

“Non avevamo bisogno di valvole pneumatiche per cominciare, ma volevo che il sistema fosse pronto quando necessario. Abbiamo aumentato il valore massimo di giri per favorire la ricerca di maggiore potenza.” Questo motore aveva un enorme potenziale, con un sacco di coppia disponibile tra 7.000 e 11.000 giri/min. Con una vasta gamma di utilizzo, sembrava semplice da usare. La potenza ufficiale di Aprilia nella sua versione finale del 2003 era  un timido “più di 220 CV” al cambio. Le velocità massime della RS Cube su alcune piste però suggerivano valori ben più alti.

LCome sulla Yamaha M1, l’albero motore Aprilia è controrotante. “Gira nella direzione opposta alle ruote della moto. Questo diminuisce il suo effetto giroscopico e garantisce una maggiore stabilità in curva ad alta velocità e non influisce troppo a bassa velocità” spiegava Ian Witteveen. L’inerzia dell’albero di bilanciamento è molto più bassa di quella dell’albero motore, un grande vantaggio. Il sistema di scarico Akrapovic 6-3-1, include collettori con doppie uscite  che escono da ciascuno dei tre cilindri, tutti uniti in un unico scarico di grande diametro.

Aprilia aveva sviluppato un proprio pacchetto software per la gestione elettronica del motore per Cube. La centralina ultracompatta era incorporata dietro il cruscotto. Controllava non solo l’accensione e l’iniezione di carburante, ma anche il comando elettronico del gas di tipo F1. “Abbiamo la possibilità di attivarlo o meno” ha detto Witteveen. “Dopo un sacco di lavoro per capire come mapparlo, abbiamo quasi una risposta dell’acceleratore in tempo reale. Questo dà al pilota una sensazione migliore, ma ci consente anche di limitarla quando vogliamo.” Un antenato del controllo della trazione, che ora abbiamo su tutte le moto? Anzi, lo ricorda davvero, ovviamente con un funzionamento più semplice.

E il telaio?

La Cube aveva un telaio  in alluminio con un doppio longherone ispirato alle precedenti Aprilia da corsa, che avevano nella ciclistica uno dei loro punti di forza. Nella parte posteriore, un forcellone rinforzato molto robusto era collegato a un ammortizzatore Öhlins tramite un sistema che includeva una regolazione dell’altezza del telaio. Consentiva di abbassare o sollevare la parte posteriore della moto senza influire sul precarico dell’ammortizzatore. Veniva  utilizzata una forcella Öhlins da 45 mm ed i dischi in carbonio Brembo da 320 mm sono associati alle pinze a quattro pistoni a montaggio radiale.

Inizialmente l’interasse era fissato a 1410 mm (55,5 pollici). In seguito venne aumentato di 30 mm (1,2 pollici) per contrastare l’effetto impennata,  nonché per caricare di più la ruota anteriore, per migliorare le sensazioni del pilota e cercare un’aderenza migliore.

La linea era estremamente aerodinamica, a tutto vantaggio della top speed. Ma era il motore, ovviamente 990 cm³ secondo le regole, che sorprendeva, non solo per la forma ma anche per i  contenuti tecnologici. Le dimensioni complessive erano molto compatte, molto simili alla vecchia 500, ma soprattutto poteva sfoggiare una leggerezza invidiabile: 135 kg a secco, contro i 148 kg dei 4 e 5 cilindri.

Una moto troppo in anticipo sui tempi

Sfortunatamente, la potenza fenomenale del motore era alla base delle preoccupazioni di Aprilia in MotoGP. Questo motore associato a un sistema di controllo molto innovativo era inadatto al telaio, troppo rigido. Le gomme dell’epoca non erano in grado di gestire tale potenza: non esisteva ancora un sistema anti-wheeling, né un controllo avanzato della trazione. L’unico modo per provare a domare tutta questa potenza, espressa in modo piuttosto esuberante, era quello di  adattarla al miglior telaio possibile. Ma sfortunatamente, pur essendo Aprilia maestra dei telai, non si riuscì  a trovare un compromesso funzionante. Nemmeno quando il progetto RSV 1000 Superbike è stato interrotto per incanalare tutte le risorse del reparto corse al progetto MotoGP.

Régis Laconi ha debuttato sulla RS3 nel 2002, senza successo. Nel 2003, Colin Edwards, neo campione del mondo SBK, ha dichiarato che era “nata male”. Oltre ad avere “così tante cose da rivedere”, inclusa la tendenza al wheeling, la mancanza di sensibilità nella parte anteriore, il chattering alle due estremità ed una risposta imprevedibile dal suo acceleratore fly-by-wire. Il suo compagno di squadra Aprilia del 2003, Noriyuki Haga, con questa moto cadde 28 volte in una sola stagione. Nel 2004 è stata la volta di Fabrizio, Byrne, McWilliams e McCoy.

Nonostante sia passata per le mani di molti piloti, ognuno con il proprio stile di guida, nessuno è mai riuscita a domarla. Non sono quindi mai arrivati grandi risultati: probabilmente è stato soprattutto questo il motivo per cui l’Aprilia lasciò  la MotoGP, unitamente ad una grave crisi economica.  Troppi soldi spesi rispetto ai frutti raccolti, decretarono la morte del progetto e l’abbandono delle corse Questo prima del suo ritorno nella categoria regina del Motomondiale, avvenuta nel 2015.

L’articolo originale di Paul-Emile Viel su paddock-gp

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1 commento

  1. fabu ha detto:

    Ebbi la fortuna di vederla in azione a Suzuka nel 2002, nella prima gara dell’era MotoGP. Pioveva a dirotto. Impressionante l’urlo sul rettilineo dei box, faceva tremare l’asfalto e le tribune, e non è un modo di dire. Tremavano veramente. Mai sentita una sinfonia del genere su una moto da corsa.