21 Marzo 2023

Michel Fabrizio ragazzo dei vecchi tempi “Oggi tanto cinema, poca sostanza”

Michel Fabrizio si racconta: dagli esordi in minimoto all'addio alle competizioni nel 2021. La storia di un pilota che ha lasciato il segno

Michel Fabrizio, vittoria ad Imola

Imola 27 settembre 2009: Michel Fabrizio è terzo gara-1 e vince gara-2 davanti a 120mila fans in delirio. Presente anche Marco Simoncelli che sostituisce l’infortunato Nakano e sale sul podio con Michel. Istanti ancora vivi nella memoria di tanti appassionati. Michel Fabrizio è ancor oggi l’ultimo pilota italiano ad avere vinto ad Imola nel Mondiale Superbike. Ripercorriamo con lui la sua carriera.

Michel Fabrizio, come ti sei avvicinato al motociclismo?

“Ho iniziato a 5 anni, in minimoto sulla pista di Torricola, l’unica pistina che c’era vicino a Roma. Mio padre era appassionato e mi portava a girare. In realtà quando ero bambino in gara c’era sempre da soffrire ma i piloti che mi bastonavano da piccolo li ho poi battuti appena sono salito sulle ruote alte. Mi sono preso delle belle rivincite”.

In quale campionato hai corso?

“Ho iniziato dal Challenge Aprilia. Il primo anno mi sono classificato secondo dietro ad Andrea Dovizioso mentre la stagione dopo ho conquistato il titolo. Nel 2001 ho vinto in 125 e così sono approdato al Motomondiale 125 con la Gilera del Team Italia. E’ stata veramente dura poi ho fatto una scelta radicale e mi sono subito tolto delle gran soddisfazioni”.

A 18 anni sei approdato alle 1000.

“Sono passato direttamente dal Mondiale 125 all’ Europeo Stock 1000 e l’ho vinto all’esordio. Questo successo mi ha creato nuove prospettive. A 19 anni ero già in MotoGP con la WCM e sono stato uno dei pochi ad andare a punti con quella moto. Se vogliamo l’unico rimpianto che ho è di essere rimasto poco in MotoGP. Mi ha chiamato Honda per il Mondiale Superbike e sono andato. Con la moto giapponese ho fatto subito dei podi poi sono passato alla Ducati e sono stati gli anni più belli”.

Cosa si prova ad essere il compagno di squadra di Troy Bayliss?

“Troy mi ha insegnato tanto. Io lo guardavo in tv fino a pochi anni prima e correrci assieme, nell’anno in cui ha vinto il titolo, è stata una figata pazzesca. Era un pilota molto alla mano come del resto anche gli altri campioni di quell’epoca”.

Gli anni con Ducati sono stati i più belli?

“Si, decisamente. Il 2009 poi è stato spettacolare, con Ben Spyes, Haga… Quell’anno la Superbike era più bella e più seguita della MotoGP. 18 Podi, 3 vittorie tra cui quella incredibile di Imola: ho provato delle emozioni pazzesche. Salire sul podio con Marco Simoncelli poi è stato qualcosa di veramente speciale”.

Hai poi corso ancora in Superbike ma ad un certo punto la tua carriera si è arenata. Cosa è successo?

“Nel 2012 ero salito sul podio con Aprilia e a fine 2014 avevo fatto un test per correre con la moto di Noale nel 2015. Il test era andato benissimo ed era tutto a posto, aspettavo la telefonata per andare a firmare e sembrava cosa fatta. Ricordo ancora l’istante in cui, seduto sul gradino di casa, mi telefona Albesiano e mi dice che per ragioni politiche dovevano prendere Torres. La Superbike era passata alla Dorna e probabilmente serviva uno spagnolo. Sono rimasto schifato ed ho smesso di correre”.

Sei poi diventato Team Manager?

“Ho fatto debuttare nel CIV due giovani talenti: Spinelli e Zannoni. Mi sono dedicato a crescere i ragazzini ma poi la voglia di correre è tornata ed ho fatto il National. Mi sono divertito tantissimo. Lo facevo per sfogare un po’ la passione: correvo con il Nonno Racing Crazy Old Man. Ho fatto tanti podi e purtroppo ho dovuto saltare la gara di Imola per un impegno di lavoro visto che gestivo una pista e in quella data avevamo un impegno importante, altrimenti mi sarei giocato il titolo”.

Nel 2021 però sei tornato nel Mondiale Supersport?

“Sì ma non era più il mio ambiente, il mio paddock, ed ho lasciato le competizioni”.

Addio definitivo?

“E’ da due anni che non entro in un autodromo. Ora lavoro in una pista di kart vicino ad Aprilia. Lì c’è un ragazzino, soprannominato “Pedrosino” perché piccolino e corre con il 26, lo stesso numero di Daniel. Pedrosino mi vorrebbe convincere a tornare. Accende la scintilla ma poi la spengo. Il motociclismo di oggi non mi piace: tantissimo cinema e poca sostanza”.

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