14 Luglio 2023

Motorsport e sponsor: sparigliamo le carte, i risultati arriveranno

Il marketing delle corse è in piena trasformazione? Visione, progettualità e coraggio sono la risposta

Traiettorie, Motorsport

Una volta era più semplice: attaccavi sulla moto l’adesivo del marchio più in grande possibile, meglio ancora se l’investimento era di tale portata da poter personalizzare l’intera livrea con i colori del brand o del prodotto. Fra la fine degli anni ’70 e l’inizio del nuovo secolo, in pista sfrecciavano bolidi che richiamavano, in particolare, pacchetti di sigarette e bottiglie di birra. Funzionava a tal punto che certe moto (o auto), all’occhio dello spettatore erano associate ad un determinato brand in maniera subliminale. Cioè riconoscevi il brand perfino quando, in certi circuiti, doveva essere omesso per il divieto di pubblicità diretta di prodotti ritenuti dannosi per la salute. Bastava la semplice colorazione e il messaggio arrivava comunque. Forte e chiaro.

Adesso, nel 2023, questa operazione di maquillage non basta più. Sono cambiati il mondo del marketing, il modo di comunicare e la stessa natura del motorsport. Come recentemente ci è capitato di discutere con Marco Ronchi, co-founder del Master in Design the Digital Strategy del Politecnico di Milano.

Lo stile visivo di un brand resiste, ma a chi mette i soldi serve che l’investimento si traduca in un racconto che abiliti una relazione di business. “Questo accade se si capisce di cosa ha bisogno al di là dell’intrattenimento. Uno degli errori che notiamo quando indaghiamo i blocchi che fanno fallire le trasformazioni di mercato è ancora quello di sfruttare la comunicazione mono-direzionale con finalità puramente emotiva, evitando di re-interpretare le proprie conoscenze sul pubblico e sui suoi nuovi bisogni attraverso discipline come il marketing strategico, che proprio per l’utilizzo di avanzati ecosistemi digitali richiede competenze estremamente complesse da apprendere e da trasferire nel management, con conseguenti paure e resistenze nella sua migliore applicazione.

“Nel grande insieme di persone che si divertono esiste un pubblico di professionisti che non sono tanto emozionati dal risultato in classifica, quanto più interessati da come i brand che popolano i paddock e colorano le livree delle moto possano eventualmente divenire alleati nella propria quotidianità professionale. Se non si comprende a fondo questo insight di marketing, se attraverso l’intrattenimento non si risponde al bisogno razionale ancor prima che a quello emotivo, si rivedono le solite campagne di comunicazione pensate più per soddisfare chi le paga, che i potenziali consumatori finali.
Come in tanti altri settori dell’intrattenimento, nel motorsport di una volta bastava farsi vedere. Adesso qualunque sponsor, dal più grande al più piccolo, ha bisogno di “esserci” nel senso di “essere posizionato” in un processo di conversione non più semplice e lineare come quello televisivo.
Avere una parte attiva nella relazione, ascoltare, interpretare e restituire messaggi diversi per comunità sempre più eterogenee
. Per tutto questo servono competenze specifiche e apertura verso metodologie contemporanee.

C’è quindi bisogno di un cambio di passo importante, in questo come in altri settori: serve determinazione nell’abbattere le resistenze al cambiamento e per farlo, servono interlocutori nuovi, freschi, che arrivano da altri mondi e che per questo, sono in grado di sparigliare le carte. Questo significa trasformare: investire con molto coraggio e una sana attitudine all’ignoto. Ma i risultati poi arrivano”.

Perché effettivamente nuove opportunità di business ci sono. Basti pensare che da un’analisi effettuata a fine 2021 da Twig, azienda di consulenza strategica in trasformazione digitale, su 11 milioni di follower che seguono la Superbike sui canali Meta, il 45% ha bisogni espressi direttamente o indirettamente collegati alla categoria merceologica “utensili per professionisti”. Tra le prime cinque professioni che compongono questo cluster troviamo Produzione manifatturiera, Servizi di installazione e riparazione, Servizi amministrativi, Trasporti e traslochi, Vendite (prevalentemente in settori B2B).

Se aggiungiamo che il 40% sono persone non sposate, il 59% con un grado di formazione avanzato e il 35% con un’età compresa tra i 25 e i 34 anni, lo scenario di opportunità per centinaia di brand di qualsiasi dimensione che operano nell’ambito della system integration manifatturiera è pressoché sconfinato. Ma di brand che, per esempio, si occupano di progettazione e produzione di ascensori e montacarichi in Superbike non se ne vedono, nonostante esista un pubblico piuttosto vasto pronto ad ascoltarli.

Facile a dirsi, difficilissimo a realizzarsi. Grandi brand e perfino i promoter stessi dei campionati più importanti del motorismo (F1, MotoGP, Superbike, Motocross) fanno fatica ad adattarsi a modelli e strategie che come questa, che cambiano alla velocità della luce e che presuppongono competenze tecniche e manageriali completamente diverse rispetto a solo cinque anni fa. Non ci sono più rendite di posizione perché la necessità fondamentale è reinventarsi ogni volta. Ampliando la propria posizione di marketing su pubblici nuovi, diventando riconoscibili senza invadere ma facendosi scegliere, consolidando il proprio mercato con la costituzione di poli di trasformazione culturale aperti a stakeholder di sistema.

Prendete il World Superbike. È un campionato “giovane”, nato nel 1988: F1 e MotoGP sono partiti con quasi quattro decenni di vantaggio. Ma in pochissimi anni è esploso, imponendosi all’attenzione e costruendo il proprio posizionamento, cioè un’originale identità, partendo da zero. La Superbike non ha creato un pubblico, perchè il motociclismo è uno sport di massa e appassionati duri e puri esistevano già prima prima e seguivano il Motomondiale. Ma la Superbike ha sbaragliato l’esistente giocando sugli stessi “valori” che questo sport veicolava anche prima: la passione, tenacia, coraggio.

Però li ha confezionati in modo diverso: mentre il Motomondiale diventava più ricco e sofisticato, grazie alle moto pacchetto di sigarette di cui sopra, la Superbike ha mandato un messaggio ostinatamente contrario. Nei GP i piloti “fighetti”, di qua guerrieri pronti a giocarsi la vittoria a spallate all’ultima curva. Di là un paddock esclusivo, inavvicinabile. Di qua l’inclusione totale, cioè la possibilità di stringere la mano al pilota e buttare un’occhiata dentro al box. Il “racconto” è stato così forte e pervasivo che “Superbike” è diventato ben più di un campionato motoristico. Bensì un modo particolare di vivere l’emozione. Uno stile di vita e un contesto sportivo di cui non sentirsi solo spettatore passivo, ma al quale “appartenere”.

Su questa tematica, il live engagement, spendiamo molto del nostro tempo e delle nostre risorse perchè sappiamo di non dover tradire le aspettative dei nostri fan” spiega Francesco Valentino, responsabile del dipartimento Commercial e Marketing di WorldSBK Organization, il promoter del Mondiale. “Non secondario, cerchiamo di convincere chi si è avvicinato per la prima volta a tornare. Su quest’ultimo aspetto abbiamo una redemption molto alta. Più del 50% delle persone che arriva, più o meno per caso in un nostro evento, poi torna. Devono essere coprotagonisti nei nostri eventi e lo sono. Abbiamo 31 differenti “experience” che possono coinvolgere da uno fino a gruppi di vente persone. L’aspetto emotivo è trainante, da qui si parte per veicolare messaggi anche di natura commerciale, diversamente verrebbero accettati e recepiti con molta difficoltà“.

Per questo motivo campioni come Carl Fogarty o Troy Bayliss sono diventati icone, ben aldilà di vittorie e Mondiali conquistati. Per anni, fra i ’90 e il 2010, la Superbike a Brands Hatch, circuito salotto alle porte di Londra, è stato uno degli eventi più affollati della Gran Bretagna. A Monza la stessa cosa, con la Superbike l’Autodromo bolliva come per la F1.

Il pubblico che ancora oggi segue in gran numero le gesta degli spericolati attori delle moto non è più lo stesso. Fino a dieci anni fa i parcheggi erano sterminate distese di moto, adesso la maggior parte del pubblico, specie in Italia, arriva in auto. E’ una folla meno legata al mondo della moto tour court: non sono più in larga maggioranza acquirenti dell’ultimo modello di maxi sportiva, né consumatori di tutto l’indotto. Ma sono persone che amano ancora la velocità, il brivido e la condivisione delle emozioni che questo sport sa offrire.

Esserci valeva prima, come oggi. La possibilità di passeggiare nel paddock e incontrare i piloti che stanno entrando nel box pronti per la sfida, scambiando una pacca sulla spalla, è sempre un valore assoluto. Prima si facevano autografare il casco, adesso c’è il selfie. 

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