5 Luglio 2022

Marco Simoncelli, i ricordi del suo meccanico: “Vi racconto quando cappottò”

Sanzio Raffaelli, per tutti Malabrocca, racconta a Corsedimoto alcuni episodi toccanti, segreti, della carriera di Marco Simoncelli: l'uomo, il campione.

Marco Simoncelli

Per tutti è semplicemente “Malabrocca”. Sanzio Raffaelli è stato lo storico meccanico riminese di Marco Simoncelli, anzi, molto di più. Sanzio ha recitato un ruolo fondamentale nella carriera del Sic ed è difficilissimo non commuoversi chiacchierando con lui.

“Da ragazzino volevo fare il pilota nella velocità – racconta Sanzio Raffaelli – però mio padre me lo vietò e così corsi nel cross ma all’inizio ero veramente impedito ed ero sempre ultimo. Allora il mio meccanico, appassionato di ciclismo, mi soprannominò Malabrocca, come il gregario di Coppi che terminava tutte le gare in coda al gruppo. Questo soprannome mi rimase anche quando iniziai a vincere. Mi chiamava così anche Marco, quando scherzavamo assieme”.

Quando hai iniziato a seguire Marco Simoncelli?

“Io ero il meccanico del Team Matteoni ed ho iniziato a lavorare con lui quando correva nell’ Europeo”.

Ci racconti un episodio particolare dei primi tempi?

“Quando vinse l’Europeo avevamo un’auto e noleggio e per festeggiare il titolo, girò in pista assieme a Massimo Matteoni. Si erano già, come dire, allenati con quella macchina su una pista di go-kart ma vollero fare un giro di pista vero. L’auto era piena, con tutte le valigie, guidava Marco con Matteoni passeggero e si cappottarono, fecero un giro pieno a 360 gradi. Tetto schiacciato, vetri in faccia ed Europeo terminato in questura a raccontare l’accaduto”.

Poi Marco andò al Mondiale.

“Il debutto era stato difficile. Marco era alto, grosso e faceva fatica. I risultati non arrivavano e io cercavo sempre di stimolarlo ed incoraggiarlo. Facevamo i nostri briefing segreti, con battute in dialetto romagnolo ed il nostro motto era “vedi che sappiamo fare”. Nacque così una grande amicizia”.

In quel periodo c’è chi aveva smesso di crederci?

“Con Massimo Matteoni ho avuto un rapporto un po’ di amore/odio perché quando ha visto che non riusciva ad emergere aveva un po’ smesso di crederci, nel senso che non lo aveva incoraggiato abbastanza come aveva fatto in precedenza con altri piloti. Io però c’ero sempre. In un nostro briefing segreto cambiammo strategia di gomme all’insaputa di tutti e lui conquistò il quarto posto in volata”.

Poi passò alla 250 ed iniziò un po’ il suo calvario in Aprilia. Come andarono le cose?

“Eravamo il Malesia, circuito chiamato SIC proprio come il suo nomignolo e Marco correva per l’Aprilia ufficiale. Il capo tecnico era Brazzi, colui che aveva vinto tanti mondiali, insomma un dio in terra per la Casa di Noale. Marco Simoncelli non si trovava assolutamente bene con lui, i risultati non arrivavano, incolpavano il pilota quindi si era demoralizzato ed aveva deciso di smettere. Suo padre mi chiamò “Vieni, vieni, Marco vuole smettere!”. Andai da lui, parlammo a lungo, analizzammo i dati e gli dissi che doveva parlare con Brazzi ma lui era scoraggiato, temeva che lo mandasse al diavolo. In ogni caso riuscimmo a metterci una pezza e lui fece la sua gara. Brazzi non credeva in Marco Simoncelli. Aprilia gli tolse la moto ufficiale e lo retrocesse in una squadra privata, con marchio Gilera. Fece lui il suo team con Daganello come Capo Tecnico. Mi voleva a tutti i costi come meccanico ma non trovai l’accordo economico con Sacchi che mi offriva molto meno di Matteoni. Marco si arrabbiò molto con me ma il nostro rapporto non cambiò”.

Cosa successe?

“Dopo avere corso veniva da me nel motorhome dove mi riposavo prima di andare a cena. Stavamo da soli e mi raccontava, parlava, parlava, come se fosse dallo psicologo. Quei momenti lo facevano sentire bene poi quando vinse il titolo tutti travolti dalla gioia, dalla festa”.

Poi la MotoGP. Avevi continuato a seguirlo?

“Ormai poteva camminare con le sue gambe, era circondato da persone famose, non aveva più bisogno di me e io avevo cercato di allontanarmi ma lui mi veniva a cercare, mi chiamava. Tra l’altro mi chiese anche di fargli da meccanico con la moto da cross con cui girava alla cava con Valentino e io da ex crossista gli insegnai come si guida in fuoristrada. Andava anche molto forte. Valentino lo stimava, gli voleva bene”.

Intanto avevi cambiato soprannome.

“Da Malabrocca a Sai Baba, come il santone perché avevo fatto da meccanico a Luca Scassa e lui aveva vinto, a Chaz Davies ed era diventato Campione del Mondo. Dicevano che ciò che toccavo diventava oro“.

Marco Simoncelli aveva ancora bisogno di te?

“Ricordo che mi chiese di andare a Brno ma io avevo un impegno con mio figlio. Lui telefonò a mio figlio supplicandolo di consentirmi di andare a Brno. Lì conquistò il suo primo podio in MotoGP e fu festa grande anche con suo babbo, Kate. Che ricordi! Peccato siano solo ricordi”.

Come festeggiavate?

“Dopo ogni gara, il lunedì o il martedì, si andava a cena assieme. Marco mi chiese di lasciare il lavoro da meccanico per fargli da assistente personale in MotoGP poi partì per la Malesia”.

Quello fu l’ultimo viaggio di Marco Simoncelli

“Già, il suo ultimo viaggio. Per me Marco era come un figlio. Era buono, generoso, altruista, ha aiutato mio figlio in tante occasioni: era una persona dal cuore immenso”.

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