28 Giugno 2018

MotoGP: Quando la Petronas pensò di fare tutto in casa

La Petronas approda in top class come sponsor Yamaha. Nel 2001 aveva realizzato una moto completa, ispirata alla F1. Ma non corse mai. Ecco perché

Un proverbio malese recita: «là dove non c’è l’aquila, il grillo dice: sono io l’aquila». C’è stato un tempo, neppure troppo lontano, in cui la MotoGP visse un’esaltante stagione di fermento tecnico. Stiamo parlando del 2001: l’anno successivo si sarebbe corsa la prima stagione “ibrida” con la griglia composta da prototipi a 4T 990cc e con le vecchie 2T 500cc a far da comparsa. Il nuovo regolamento aveva esaltato un po’ tutti. La sfida tecnologica era interessante: frazionamenti da 2 fino a 6 cilindri e peso variabile (min 135kg per le bicilindriche, massimo 155kg per le esacilindriche).

PETRONAS GP1 – In quella fase di passaggio una delle configurazioni che più solleticava la fantasia dei progettisti sembrava essere il tricilindrico. All’epoca qualcuno si spinse addirittura a teorizzare che fosse la scelta migliore per chi desiderasse entrare nella massima serie; banalizzando, ma neppure troppo, si diceva che si potesse progettare in maniera relativamente facile un propulsore per la MotoGP attingendo al layout dei motori già studiati per la F1. Fu anche la strada intrapresa dall’allora project leader Luigi Dall’Igna, sotto la direzione tecnica di Jan Witteveen, quando Aprilia scelse di impegnarsi in Top Class con la RS-Cube. Curiosamente, dopo Honda e Yamaha, la prima Factory che annunciò la propria partecipazione alla neonata MotoGP fu la malese Petronas che si affrettò ad anticipare l’originale progetto tricilindrico “Petronas GP1“; il motore venne anche presentato in versione statica all’interno di una teca di vetro, in occasione della prima gara d’apertura della stagione, l’8 aprile a Suzuka.

ORGOGLIO MALESE – Il 21 ottobre, a Sepang, la nuova moto denominata Petronas GP1 si mostrò al mondo completa di telaio Harris costruito su misura. “Vestita” nei colori nazionali, con tanto di sole e di luna giallo brillante sul codone blu scuro, col logo della Petronas che campeggiava tra cupolino e frontale, fece il suo debutto in uno sventolio entusiasta di bandiere della Malaysia. Bassa, snella, dalla linea pulita ad esclusione di un vistoso paracalore artigianale sul lato destro. Il collaudatore, Niall Mackenzie, fece anche due giri a velocità “codice” prima dell’inizio delle prove ufficiali del GP; scherzando – ma neppure troppo – lo scozzese affermò che «se fossi caduto durante quella prima uscita i malesi mi avrebbero lanciato dall’ultimo piano delle Torri Petronas a Kuala Lumpur». I giornalisti presenti, tra il serio e il faceto, notarono che la moto faceva un rumore d’inferno. Alcuni si spinsero a dire che “rombava come un motore di F1”. Nulla a che vedere con la sonorità rotonda dei prototipi a cinque cilindri Honda o del quattro in linea Yamaha, decisamente più urbani.

DERIVAZIONE F1 – La moto malese era figlia di un progetto strettamente legato al mondo delle quattro ruote: la dirigenza di Petronas voleva a tutti i costi sviluppare un know how interno al Paese, visto che la principale azienda automobilistica locale, la Proton, utilizzava powertrains giapponesi, perlopiù di provenienza Mitsubishi, ma non aveva specifica esperienza di progettazione autonoma. Le competizioni, in questo senso, servivano da acceleratore per acquisire moderne soluzioni di design industriale. Per poter assorbire tali competenze nel 1996 venne costituita una società di diritto svizzera appositamente dedicata, la “Petronas Engineering AS”, partecipata al 60% dalla Red Bull Sauber Holding AG e al 40% da Petronas. Questa partnership diede vita a un motore che aveva il nome in codice di “E01”. Il progettista del propulsore era l’ingegnere Osamu Goto, con trascorsi in Honda e Ferrari. L’ E01, che derivava dall’esperienza nelle gare automobilistiche, doveva essere modulare: avrebbe potuto cioè servire sia in campo auto, sia in quello moto.

OSAMU GOTO – Il tecnico giapponese era assolutamente convinto della bontà della scelta anche per quanto riguardava la MotoGP: «è un valido motore, completamente rinnovato rispetto a quello mostrato a Suzuka: abbassato, ridotto in larghezza e con i cilindri più inclinati in avanti. Lo abbiamo realizzato in cinque mesi e inserito all’interno di un telaio Harris appositamente sviluppato». Ci credevano. Niall Mackenzie era soddisfatto: aveva girato con la GP1 solo in configurazione limitata a 13.000 giri, ma sosteneva che esprimesse da subito un buon potenziale. Affermava che si trattasse di «una vera moto da Gran Premio, non una specie di superbike riadattata». La Sauber-Petronas presentava caratteristiche interessanti: il motore aveva aspirazione frontale e scarico posteriore, con la bancata dei cilindri inclinata indietro. Ai tempi si disse che nelle intenzioni si voleva ottenere un’altezza complessiva non lontana da quella di un V4 2T. In un primo tempo si valutò l’idea delle valvole pneumatiche, poi scartate perché rappresentavano un’inutile complessità: a differenza di un motore da F1 non c’era ragione di intervenire su regimi di rotazione nell’ordine dei 18/20.000 rpm, visto che la potenza raggiunta al banco, circa 220CV, veniva ritenuta sufficiente.

NAUFRAGIO – Goto stesso lo spiegava bene con una dichiarazione alla rivista tedesca Motorrad: «inutile cercare troppa potenza se non riesci poi a utilizzarla. Non v’è alcun dubbio che il nostro motore tre cilindri sia la scelta migliore per la classe GP1 [poi MotoGP]. È più potente di un V2, con comando valvole convenzionali sviluppa già ben oltre 200 cavalli e con le valvole pneumatiche può arrivare tranquillamente a 250 CV, ma resta molto più compatto rispetto ai quattro e cinque cilindri giapponesi. Inoltre, la moto finita potrebbe pesare dieci chilogrammi in meno». Insomma, a fine ottobre 2001 tutto era pronto per l’ingresso nella nuova categoria. Il 2002 sarebbe stato un anno interlocutorio, in cui avrebbero fatto solo delle sporadiche apparizioni, poi dalla stagione successiva si sarebbe iniziato a fare sul serio. Invece tutto naufragò nel giro di un mese appena. Cosa successe tra ottobre e novembre del 2001? Perché un progetto già imbastito e che stava viaggiando da solo venne bruscamente interrotto?

La Petronas FP ha corso in SBKMEGLIO LA SUPERBIKE – Le informazioni sono piuttosto confuse e la verità probabilmente non si conoscerà mai con certezza. Un’ipotesi abbastanza credibile parla di una “faida” interna tutta malaysiana: Petronas voleva a tutti i costi acquisire la capacità tecnologica per produrre un “motore nazionale”, da sviluppare attraverso le competizioni, mentre sembra che la Casa automobilistica malese Proton, il beneficiario principale del propulsore, opponesse resistenze. Proton era già presente nel motomondiale per volontà del boss Tan Sri Tengku Mahaleel, attraverso il team di Kenny Roberts, che per un periodo acquisì la denominazione di Proton Team KR. Forse conoscevano la portata della sfida e non se la sentivano di affrontare i rischi connessi. Così, in meno di trenta giorni, la multinazionale petrolifera si ritirò dal campionato prototipi finendo per dirottare l’investimento nel Mondiale Superbike dando vita alla Foggy Petronas Racing.

PRODUZIONE DI SERIE – I malesi annunciarono il sodalizio con Fogarty il 18 novembre rassicurando che il progetto MotoGP sarebbe andato avanti “parallelamente”. Secondo quanto riporta motorcyclenews.com: «resta inteso che il progetto GP a quattro tempi della Sauber Petronas verrà eseguito assieme allo sforzo WSBK». La sensazione però era che si volesse privilegiare un’eventuale produzione di serie rispetto al puro utilizzo in gara. Il destino della sfortunata Sauber-Petronas GP1 a quel punto fu segnato: due soli giri-passerella a Sepang, poi nel dimenticaio. Il rapporto tra Petronas e Sauber terminò definitivamente a gennaio del 2002 con lo scioglimento della società partecipata. I malesi, per continuare lo sviluppo della FP1 (Foggy Petronas) si affidarono prima a Suter e poi agli inglesi della Ricardo, mentri gli svizzeri continuarono a sperare di poter portare avanti l’avventura in MotoGP con la GP1; ancora a febbraio 2002, Osamu Goto si dichiarava soddisfatto di rientrare in gioco nel campionato prototipi «posso confermare che stiamo lavorando nuovamente al progetto GP1 a quattro tempi,» furono le parole dell’ingegnere giapponese «al momento stiamo cercando di elaborare un piano aziendale per aiutarci a riportare il progetto in carreggiata. Come sapete l’investimento di Petronas è ora destinato allo sviluppo con un’altra società. Ora dobbiamo cercare un nuovo investitore o cliente per aiutare a finanziare il nostro progetto GP1».

QUANTO MI COSTI  – Le cifre in ballo erano decisamente superiori rispetto alle consuete formule di leasing delle moto impiegate dalle Case giapponesi, scoraggiando eventuali investitori. Il sipario si chiuse per sempre sulla GP1. Il motore “E01” in configurazione motociclistica non finì però in pensione: nel 2012 attraverso una delicata operazione di buy back il gruppo Proton rientrò in possesso dei brevetti del propulsore originariamente studiato dalla Compagnia petrolifera. Affinato e sviluppato ha trovato un’applicazione ideale come powertrain per moto d’acqua e motoslitte.

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