13 Ottobre 2023

Niente è più come prima, il pubblico del motorsport sta cambiando così

Il motorsport diventa "multicanale": una volta bastavano velocità & rischio, ora i contenuti si ampliano. Ma come far convivere anime diverse?

Traiettorie, Motorsport

Una volta c’erano la Nordschleife e il Tourist Trophy. A vederli con gli occhi delle persone normali, oggi, niente più di nastri d’asfalto. Ma per gli appassionati di corse, erano e sono luoghi leggendari. Il primo, meglio conosciuto come Nurburgring, è un tracciato di 22 chilometri fra i boschi della Renania, in Germania. “Faceva così paura correrci dentro che ho vomitato nel casco” disse Virginio Ferrari, dopo averci vinto nel ’78 il suo primo della 500 GP, allora la top class delle moto.

La mitica sigla TT è il logo più racing che ci sia, forse più ancora di “Daytona” o “Le Mans”. La doppia T rappresenta tutto: la sfida più antica del motociclismo, e il circuito che la ospita. Che, in realtà, è un anello di 60 km di strade normali sull’Isola di Man, nel mare d’Irlanda. Per gli appassionati si chiama Mountain Circuit. Ma basta TT, hai detto tutto.

Velocità e coraggio

Abbiamo evocato luoghi leggendari del motorsport, diversi ma uguali, perché accomunati da un denominatore comune: il pericolo. L’essenza del motorsport è il rischio spinto all’estremo di una sfida con il destino, più che con gli avversari. “Il coraggio? È avere paura di fare una curva a tutto gas, e farla comunque” diceva Renzo Pasolini, campionissimo del motomondiale nell’epoca del bianco e nero. Morì a Monza, al primo giro del GP Italia ’73. “Per smettere di piangere bisognerebbe smettere di correre” era la massima di Enzo Ferrari, ogni volta che un campione della F1 ci lasciava le penne. “Ai miei tempi c’erano solo 7-8 GP, non 22 come adesso, ma morivano due-tre piloti ogni stagione”: Giacomo Agostini ha vinto 15 Mondiali e li ha potuti raccontare.

L’offerta del motorsport diventa “multicanale”

Adesso confrontate questo tipo di “racconto”, sedimentato per decenni, con le immagini più recenti che vi vengono in mente degli ultimi GP di F1 o della MotoGP. Ve ne cito due, recentissime. Miami, Florida, maggio scorso. Ai bordi della pista cittadina hanno costruito un porto …finto. Yacht, ombrelloni, il bar della spiaggia, l’acqua e le onde: tutto di plastica. A vedere la corsa, sulla terrazza VIP dei box, stelle della musica e del cinema. Brad Pitt sta girando un film sulla F1, prodotto da Apple Studios, con sequenze ospitate nei box veri durante i GP veri. Liberty Media, promoter della serie top delle auto, è una società della galassia Warner Bros. Misano, Romagna, settembre. Finisce il GP della MotoGP e durante la premiazione parte il dj set di Joseph Capriati, con musica elettronica sparata a palla. Lo stesso artista ha suonato prima di Napoli-Real Madrid di Champions League. 

La musica non è più solo quella dei motori

Lo sport non basta più, la contaminazione è diventata necessaria? Prima bastava il suono dei quattro cilindri 1000 cc per incantare il pubblico, adesso evidentemente non più. La MotoGP ha lanciato la moda del “podio danzante”. Prima di Misano, c’era stata musica anche dopo i GP del Mugello e di Barcellona. Non a caso alcuni degli eventi più prestigiosi, da 100 mila e passa spettatori.

Le corse cambiano di linguaggio. “Omobono Tenni sta curvando con pazzo abbandono, suscitando il dubbio che possa finire la gara in un pezzo solo” raccontò il radiocronista della BBC per descrivere l’impresa del “Black Devil”, il primo pilota non britannico a vincere fra le case e gli alberi del TT. La frase è passata alla storia delle corse, oggi farebbe ridere. In questa epoca la TV ti fa vivere il GP con un innaturale realismo. Le corse sembrano videogiochi, e i videogiochi sembrano corse vere. Ecco perché, sui social, tanti che non hanno mai visto una gara vera, augurano che il pilota “nemico” cada. Avessero visto coi loro occhi quanto vanno forte, e quanto male possono farsi, eviterebbero.

Il campione da jet set: prima era tutto, ma adesso?

Neanche agli albori la tecnica, la meccanica, il gesto sportivo erano tutto. Giacomo Agostini ha vinto 122 GP, ma ai suoi tempi ha girato cinque film, interpretando lui stesso. È stato il sex symbol di più generazioni, un personaggio da fotoromanzo che faceva sognare gli appassionati uomini per come correva, e le loro donne per come si atteggiava. Quindi il jet set c’era anche prima, ma era strettamente legato al motociclismo, alla sua essenza. Ora non serve più. Secondo i promoter, ora fanno più gioco le serie Amazon, il legame con lo show, la musica di tendenza. Pochissimi piloti di oggi hanno carisma, perché alla fine a cosa serve? Il cinema non è stato anticipatore? Le star costano, è più conveniente puntare sugli effetti speciali.

Un caso di studio: il Mondiale Superbike

Il Mondiale Superbike, nato nel 1988 partendo da zero, è cresciuto in maniera vorticosa diventando una serie top del motorismo mondiale intercettando abilmente un mood strettamente connesso alle maximoto stradali. “Corri la domenica, vendi il lunedì” era il claim preferito dai direttori marketing di aziende di moto e accessori. Arrivavi ad Assen, Brands Hatch o Monza restando impressionato dai parcheggi di moto sterminati, quasi tutte repliche stradali delle Superbike che correvano lì dentro, in mano ai campioni. Ma oggi queste belve sono diventate “politicamente scorrette”: troppo veloci, troppo inquinanti.

Il popolo di “smanettoni” è stato confinato nei circuiti, nei test track, dove possono correre senza fare i conti con il codice e pericoli delle strade. Ovviamente si sono ridotti di numero, anche se il pubblico della Superbike, intesa come Mondiale, è rimasto stabile. Possibile? Si, coinvolgendo sempre più persone che la moto non ce l’hanno, ma la “vivono” comunque, per il piacere di essere partecipi di un evento divertente, adrenalinico, spettacolare. Se vai ad un concerto pop, puoi divertirti anche senza conoscere lo spartito musicale, e magari neanche chi suona.

“Ma come ci siamo ridotti? Sono andato a Misano alla Superbike, il paddock era pieno, ma all’ora della corsa erano tutti nelle hospitality a pranzo” scrivono sui social gli appassionati duri e puri, che c’erano ai tempi delle maxi moto e ci sono anche adesso, coi capelli bianchi. La rivoluzione del motorsport e il coinvolgimento di un pubblico più giovane e diverso, eccita sponsor, tv, e specialisti del marketing. Ma rischia di allontanarne tanti che non si riconoscono più.

“Quando nel 2021 la squadra GYTR GRT Yamaha WorldSBK Team è stata la protagonista dell’ultimo Project Work” – racconta Silvia Barozzi, Coordinatrice Didattica del Master in Design the Digital Strategy – “ci siamo trovati davanti una sfida simile: come intercetto nuovi target interessati al mondo della Superbike e, al contempo, tengo ingaggiati i “duri e puri”. Per rispondere a questa domanda, il digitale è un valido alleato in termini di conoscenza dei bisogni di ciascun pubblico. Facciamo un esempio rispolverando il manuale di matematica: se pensiamo ad un diagramma, l’obiettivo che hanno portato avanti i nostri studenti e le nostre studentesse è stato quello di cercare le intersezioni tra l’insieme A (i “fedeli”) e l’insieme B (i “nuovi”) in un contesto C (la Superbike) a partire dalla mappatura degli interessi di ciascuno, così da progettare la strategia di incontro più efficace.” 

La vera impresa adesso sarà conciliare tutte le “anime” del pubblico. Portare gente nuova alle corse, ma senza perdere quelli che ci sono sempre stati. Un’alchimia difficilissima, un cambiamento tutto da disegnare.

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