29 Ottobre 2019

Liliana Segre, la sopravvissuta: “Lo sport non diventi pretesto per l’odio””

Parla Liliana Segre, senatrice a vita che a 13 anni è sopravvisuta al campo di stermino di Auschwitz-Birkenau. Parole che coinvolgono anche noi

Liliana Segre

Che c’entra Liliana Segre su Corsedimoto? C’entra, eccome.  Pubblichiamo con grande slancio alcune parti dell’intervista che La Gazzetta dello Sport, con opportuna evidenza,  ha dedicato alla senatrice nell’edizione di martedi 29 ottobre. A tredici anni Liliana Segre finì ad Auschwitz-Birkenau, sopravvivendo miracolosamente allo sterminio. Oggi, nel 2019, riceve ogni giorno 200 messaggi social da odiatori di vario genere.  Le parole della bambina salvata non lasciano indifferenti, suonano da monito. Ma anche da sveglia, pure per noi appassionati di moto. Deliberatamente, non vogliamo contestualizzare queste frasi nella nostra realtà. Anche se sarebbe sarebbe facile, perchè circuiti e web non sono affatto indenni. E’ un’intervista da leggere tutta d’un fiato. Poi ciascuno tiri le somme. Con la consapevolezza  che la vita non è “virtuale”, ci sono il bene e il male. Riconoscerli, e stare dalla parte giusta, è l’unico antidoto alla barbarie.  Sempre, e dovunque. (pg)

«Io l’odio l’ho provato sulla mia persona, non è che ne ho sentito parlare o che sono la buona vecchietta contro l’odio. Io l’ho provato in prima persona, so che dalle parole dell’odio si passa ai fatti perché di questi io e la mia famiglia siamo stati vittime».

Senatrice, per lei gli ululati ai giocatori di colore negli stadi, i saluti fascisti e i simboli nazisti non sono parole o gesti.

«No, per questo la reazione forte contro le braccia tese in Bulgaria-Inghilterra a Sofia mi ha fatto piacere. Dico che di sport so poco, ma vedo tante cose, anche quelle buone, i bambini negli stadi, certi gesti fraterni. In fondo il calcio è lo specchio del mondo che c’è fuori, nel bene e nel male».

I buu razzisti un fenomeno difficile da contrastare.

«La chiave è l’indifferenza. Quando noi eravamo nei campi di sterminio per la colpa di essere nati, eravamo tutti bianchi ma l’indifferenza del mondo intorno è stata totale, non eravamo di un colore diverso ma era come se lo fossimo. Oggi il Mediterraneo è la tomba di tante persone di colore che affogano, altri finiscono nei campi di detenzione in Libia. La loro morte o la loro non vita, nel secondo caso, è investita dalla stessa indifferenza di allora, non importava a nessuno dei lager di sterminio, non importa in realtà a nessuno di chi affoga nel mediterraneo. C’è sempre un capro espiatorio e deve morire, deve essere ingiuriato, deve essere ritenuto diverso da te. L’odiatore è questo, è un indifferente. Se invece si sceglie da che parte stare per questi personaggi è più difficile».

Come si è arrivati a questo?

«Se lo sapessi sarei molto più importante di quello che sono, una nonna qualunque, quello che posso dire invece è che chi si è sacrificato per un mondo migliore, penso agli antifascisti, ai militari italiani finiti nei campi di prigionia in Germania quasi due anni per essersi rifiutati di firmare per la Repubblica sociale. Tutti questi speravano in un mondo diverso di quello che poi è risultato in quella democrazia per cui molti erano morti. E’ stata una grande gravidanza, quella della democrazia, e purtroppo non ha partorito tanti bei bambini, ha partorito molti corrotti e corruttori e questi odiatori. Mi ero forse illusa che come erano morte le vittime fossero morti anche i carnefici. E invece no, sono rinati e sono lì più odiatori che mai».

C’è anche chi minimizza, vedendo la partita come un momento ludico.

«C’è una tale differenza tra la parola sport e la parola odio che se quelli che si definiscono sportivi nel senso di appassionati avessero dentro di loro quello spirito di cui parlano, e che è agonismo quindi il contrario dell’odio, si renderebbero conto di come non possano esistere gesti come l’insulto al calciatore di colore. Per me ha significato riportare parole che credevo dimenticate, cose che ho vissuto per la colpa di essere nata, non ero di un altro colore ma era come se lo fossi. Se adesso ancora spero che di questo si legiferi, si parli, significa che questo mi ha messo in un tale stato di preoccupazione per il futuro, per i miei nipoti, per i giovani che si abituano a questo linguaggio. E se si abituano poi cosa sarà di loro? Tutti dovrebbero combattere le parole d’odio perché sono ovunque e riguardano tutti: allo stadio, per la strada, al supermercato. Così poi si arriva allo sfogo corale dentro gli stadi e pensano di poter andare lì per potersi liberare e a quel punto non resta che sperare che ci siano i Daspo a tenerli fuori per anni».

A cosa vuole arrivare con la commissione che potrebbe nascere oggi in Senato?

«Beh, la strada è sempre tortuosa ma vorrei parlare alle coscienze, da quelle delle cariche più alte a quelle degli ultimi. Abbiamo uno straordinario presidente della Repubblica che, con quello sguardo profondamente triste ma anche forte che ha, cerca di fare il padre che qualche volta magari sgrida i figli sperando così di ottenere qualche cosa. E al suo seguito vogliamo sperare che qualche altra voce si alzi, magari giovane, alta e forte, per richiamare gli altri a guardare l’altro come un nemico, ma come un altro essere umano.

Quindi partendo dai giovani qualche cosa si può fare?

«Certo, io ho fiducia in loro, in quelli che chiamo i miei nipoti ideali. Loro possono portare un messaggio migliore. Gli odiatori invece sono persone mature, per loro la ricetta non posso averla. Certo, il punto è che i giovani sarebbero degni di famiglie che li ascoltano, non di quei genitori che piuttosto guardano il telefonino mentre stanno con loro. E’ un mondo molto difficile per i giovani, quando ho letto dello Shoah party sui telefonini dei ragazzini in cui possono vedere tutti gli orrori del mondo ho pensato quanto sia difficile poi crescere con certi esempi».

La commissione ha anche l’obiettivo di legiferare su una zona grigia: l’odio sul web.

«Senza grandi illusioni, intendiamoci, sono così vecchia che non è che penso che con una commissione di controllo e un progetto che mira a difenderci da quest’odio montante ci sarà il miracolo che tutti diventeranno buoni e gentili oppure avranno paura di essere puniti. Non sono così ottimista, anzi non lo sono per niente, però non potevo non fare qualche cosa».

(L’intervista è di Edoardo Lusena)

Liliana Segre

Lascia un commento