9 Febbraio 2023

Paolo Lucci “Dakar, è così esaltante che quando torni prende la tristezza”

L'edizione 2023 è stata la seconda Dakar per Paolo Lucci, stavolta però è arrivato al traguardo. Com'è stata la sua corsa? L'intervista.

paolo lucci, dakar

È la sua seconda Dakar, stavolta però l’ha finita e ottimi risultati. Paolo Lucci, originario di Castiglione Fiorentino come l’illustre predecessore Fabrizio Meoni, si è messo in evidenza come miglior italiano di questa prestigiosa ma difficile competizione. Una crescita costante per il pilota toscano, che ha come obiettivo primario quello di migliorarsi costantemente, limando eventuali imperfezioni. Ma com’è andata la sua Dakar? E quali sono i programmi per quest’anno? Abbiamo avuto l’occasione di parlarne con Paolo Lucci, ecco la nostra intervista.

Coma valuti la tua Dakar 2023?

Quest’anno è andata bene. L’anno scorso avevo rotto la moto, invece stavolta ho cambiato un po’ di cose, compresi l’allenamento e la squadra. A parte una caduta durante il 5° giorno, che mi ha lasciato un po’ stordito, per il resto sono contento. Ho fatto dei bei miglioramenti sia nella velocità che nella gestione della gara, l’importante era quello.

Adesso sei con BAS World KTM Racing Team, com’è stato questo cambiamento?

È stato un passaggio importante sia per questa Dakar che per il futuro. È un altro mondo: i ragazzi del team lavorano veramente bene e si è creato davvero un bel clima all’interno della squadra, poi la moto è sempre perfetta. Sono contento. Con loro poi ho confermato tutto il Mondiale e la Dakar 2024.

Avevi un obiettivo in particolare o prima volevi capire come ti sentivi?

Alla fine speravo nel risultato che ho ottenuto. In una gara come la Dakar però, considerando poi che il livello si alza sempre e che ci sono tanti piloti forti, è difficile fare una previsione all’inizio, e non mi piace nemmeno. Sono partito i primi giorni e poi da lì più o meno ho visto la velocità che avevo e quello che potevo fare.

Hai accennato al tuo incidente. Puoi raccontarci cos’è successo?

Nel corso del quinto giorno sono caduto in una pista veloce, la moto mi ha disarcionato e ho rotolato abbastanza. Inizialmente non riuscivo ad alzarmi, avevo battuto la schiena, il collo, la testa in particolare. Ho visto poi che avevo distrutto tutta la strumentazione, non avevo più niente: ho quindi rialzato la moto, ho tagliato i fili e ho lasciato lì tutto. Rimanevano altri 170 km da percorrere e sono andato dietro alle tracce. Quella è stata una giornata abbastanza dura, forse la più dura che abbia mai fatto.

Una tappa “al buio” in un certo senso.

Fortunatamente era tutta sabbia. È servito un po’ di occhio, mi era rimasto però anche il GPS dell’organizzazione, quindi da lì riuscivo a vedere i waypoint ed a che chilometro ero. L’unica cosa però è che non ero molto lucido, vedevo male ed avevo dei giramenti di testa. Non è stato proprio il massimo.

Una volta arrivato cosa ti hanno detto?

Mi sono fatto visitare e non avevo niente di rotto, solo un trauma cranico più alcune botte qui e là. Nei giorni successivi, fino alla tappa di riposo, non stavo bene. Il fisioterapista del team però si è occupato di schiena e collo, quindi stavo già un po’ meglio. Ora è passato tutto e ho ricominciato ad allenarmi.

Molti hanno detto che questa è stata una Dakar più difficile. A te com’è sembrata?

La prima settimana è stata molto impegnativa, erano speciali lunghe e molto varie come tipo di terreno. Ci sono anche stati poi quei giorni di pioggia che non hanno facilitato le cose, però mi è piaciuta molto. Era bella selettiva, nel senso che in quelle speciali lunghe veniva fuori l’allenamento e io mi ero preparato abbastanza. La seconda settimana è stata divertente perché si correva nell’Empty Quarter, però erano speciali abbastanza corte, in cui eravamo tutti attaccati, quindi era difficile fare la differenza. È stato divertente, ma personalmente avrei preferito speciali un po’ più lunghe.

C’è stato un tipo di terreno che ti ha messo più in difficoltà?

Ho sofferto tanto nel 2° e 6° o 7° giorno. Quelle speciali insomma che erano tutte sassi e con velocità medio-lente, quasi una speciale da enduro ma lunga 400 km. In quei tratti non avevo un buon feeling. Ci dovrò lavorare, oppure speriamo non ci sia nella prossima Dakar!

Hai parlato della pioggia, come hai gestito quella condizione?

Fortunatamente non l’ho mai presa durante la speciale. Nel 4° giorno noi primi 20 siamo riusciti ad evitarla, l’abbiamo presa solo nel trasferimento e ho sofferto tanto il freddo. Era un po’ snervante, nel senso che la pioggia non fa mai piacere, ma almeno eravamo coperti. Certo si preferisce sempre il sole e magari 25° C, ma al tempo non si comanda quindi bisogna accettarlo. E l’organizzazione secondo me l’ha gestita bene: hanno anche annullato una tappa per le moto, si sono resi conto che erano condizioni al limite. Non è che possono controllare o prevedere certe cose.

Cos’è cambiato secondo te rispetto alla tua prima Dakar?

Quest’anno era molto più varia e tecnica a livello di speciali. Mi aspettavo, speravo, che ci fosse un po’ più di navigazione. Anche l’anno scorso, almeno finché ero in gara, ce n’era poca. Oggettivamente però sulla sabbia è anche difficile, soprattutto per chi è dietro. Ok magari per chi apre, poi gli altri seguono più i segni. Parlavano poi anche di roadbook a specchio: qualche mese fa avevano detto che probabilmente avrebbero messo delle zone in cui i concorrenti avrebbero avuto roadbook diversi, così la gente non avrebbe seguito troppo le tracce. Ma non l’hanno più fatto, magari serve tempo per mettere a punto il sistema.

Come stata questa Dakar per il gruppo italiano?

Eravamo tutti molto affiatati, era bello fare due chiacchiere anche per pochi minuti per sapere com’era andata. In gara non riuscivo a vederli, ci trovavamo poi al bivacco.

C’è qualcuno di loro, magari tra gli esordienti, che ti ha sorpreso in particolare?

Devo dire che mi dispiace per Tommaso Montanari, ci conosciamo da diversi anni e s’è fatto subito male. Lui poteva fare una bella Dakar, ma purtroppo queste gare sono anche così. Spero di rivederlo al più presto nel deserto! Mi dispiace anche per Tiziano Internò, anche lui si è ritirato presto. Sono poi molto contento per chi l’ha finita, come Ottavio [Missoni], ma penso anche a Jader [Giraldi]. Ci siamo conosciuti quando ha fatto il suo primo rally, da lì abbiamo fatto un sacco di gare insieme e siamo molto legati. Lui ci teneva tanto a questa Dakar, era un sogno, e sono veramente felice che abbia raggiunto quest’obiettivo. Come fosse il mio!

C’è qualche episodio particolare che ci vuoi raccontare?

Dietro ne succedono di tutti i colori in speciale, da una certa posizione in poi è più un’avventura. Lì davanti invece abbiamo tempo di fare poco, quasi niente. Si pensa solo ad andare il più veloce possibile. I trasferimenti invece devo dire che da una parte li odiavo, si partiva la mattina al buio e col freddo. Ma mi sono rimaste impresse molto le albe dei trasferimenti. Partivi alle tre, tre e mezza, quattro del mattino, questi orari improponibili, e dopo 50 km ti svegliavi perché iniziavi a sentire freddo. Quindi ti domandavi dov’eri, perché eri venuto… Un po’ ti maledicevi. Iniziavi poi a vedere i primi bagliori, le prime luce, e un po’ ti passava il freddo, poi vedevi le albe… Bellissime! Allora cambiavi idea e pensavi che eri in un bel posto.

Le due facce della competizione: la odi e la ami.

Sì, esatto. Anche quando siamo tornati, la settimana dopo mi sono sentito con i ragazzi ed eravamo un po’ tutti depressi. Fai due settimane a mille all’ora, proprio come ritmo di vita, poi torni a casa, ti butti nel divano o a letto, ti rilassi… E ti prende questa botta di tristezza.

Hai chiuso secondo tra i piloti Rally2.

M’è dispiaciuto perché ero partito bene. Ma alla fine non era proprio quello che mi interessava: ho preferito arrivare 15° assoluto ed aver fatto 2° piuttosto di chiudere 1° ma arrivare 25° nell’assoluta. Il campionato poi è all’inizio, sperando che vada bene tutto, ma soprattutto mi interessano i miglioramenti. Alla fine non ho nemmeno guardato a questa Dakar come la gara della vita o qualcosa del genere: certo è una gara importante, ma è un passo in più. Sono più contento dei miglioramenti a livello di velocità in questo momento.

Ti eri fatto un pronostico personale su chi poteva vincere quest’anno?

Non ci ho pensato molto, dopo la prima settimana ho guardato la classifica. Ho visto che Skyler [Howes] era in testa, mi avrebbe fatto piacere che vincesse, ma ho visto che erano tutti attaccati quindi era davvero difficile fare un pronostico. Price, Benavides e Skyler erano tutti lì, poi l’ultima speciale era proprio un terno al lotto, secondo me pericolosissima: ha piovuto tanto ed erano tutti lì attaccati. Non avrei voluto essere nessuno dei tre! Ma è stato molto bello, il livello è altissimo ed è sempre difficile capire chi è avvantaggiato o meno. Ci sono sempre una decina di piloti che possono vincere la Dakar.

Quali sono i tuoi programmi per il 2023? Oltre al Mondiale Rally.

L’obiettivo principale è quello. Fra circa 15 giorni parto per Abu Dhabi, poi ci saranno Messico, Argentina e Marocco. Questo tutto in vista della Dakar 2024. In parallelo farò qualche gara dell’Italiano Motorally e poi, se riesco, qualche tappa del Mondiale Baja. A metà marzo ne farò una in Qatar, poi si vedrà. Cercherò di fare più gare possibili nel deserto.

Cambiano gli obiettivi per il 2024?

Sì, ma più che altro cambia la consapevolezza. Sono obiettivi comunque che matureranno durante l’anno, anche in base ai riscontri nelle gare del Mondiale. A novembre, quando tutte le cose sono in fila, vedremo quali possono essere gli obiettivi per la prossima Dakar. Ma procedo una gara per volta, un passo alla volta, visto che c’è tanto lavoro da fare, pensando soprattutto a limare eventuali mancanze.

Foto: Instagram-Paolo Lucci

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