2 Aprile 2022

Superbike: Il Mondiale ritrova l’Australia, quante sfide a Phillip Island!

La Superbike ritrova Phillip Island: la tappa australiana è sempre stata una delle più belle. Nell'epoca d'oro spesso è stata decisiva, come nel 1996

Troy Corser, Superbike

La Superbike 2022 avrà il finale più degno possibile: Dorna è infatti riuscita a riportare il Mondiale a Phillip Island, in Australia, quella che da sempre è una delle tappe più esaltanti della serie. L’evento è programmato il 18-20 novembre, una settimana dopo il round a Mandalika, in Indonesia. La terra dei canguri ospiterà lil dodicesimo e ultimo atto della stagione che comincia settimana prossima al Motorland Aragon.

Una tradizione che torna

La doppia trasferta ad est è stata un classico nei primi anni della Superbike, che quest’anno è alla trentacinquesima edizione. Phillip Island è la pista che ha ospitato più gare (61) mancando l’appuntamento soltanto nel 1993 e nel 2021, per la pandemia. A fine febbraio dell’anno precedente aveva ospitato l’ultima danza prima che scoppiasse l’emergenza virus. L’Isola Magica avrà l’onore di chiudere la Superbike per la quinta volta. Tornando ai ricordi dei bei tempi, l’edizione più esaltante che mi viene in mente è quella del 1996.

“Siamo tutti figli di Troy”

Una volta tanto non parliamo del mitico Bayliss, ma del suo omonimo e predecessore Troy Corser. Grandissimo personaggio: da ragazzo, prima di cominciare a correre, aveva lavorato in miniera e scaricando le navi al porto. La sua parabola sportiva si impennò grazie a Barry Sheene, che dopo aver appeso il casco al chiodo era riparato nel Qeensland, regione costiera australiana dove aveva trovato un clima più benevolo per le sue tante fratture rispetto al freddo della Gran Bretagna. Vide correre Troy Corser nella Superbike nazionale, alzò il telefono e chiamò l’amico Eraldo Ferracci che allora, e anche oggi, era l’uomo di fiducia Ducati nelle corse americane. “C’è un ragazzo che dovresti provare, è velocissimo!” urlò Barry Sheene nella cornetta. Pochi mesi dopo Mr. Crocodile, cioè il timido Corser, debuttava sulla Ducati 916 nelle prove della 200 miglia di Daytona. Non la vinse, ma si fece notare. Il proseguo della stagione Ama Superbike fu un trionfo: Troy Corser fece gonfiare il petto alla Ducati e piangere i piloti yankee. E’ stato il primo non americano a vincere il più importante campionato motociclistico degli States.

Honda affondata

Nel ’95 Troy Corser debuttò nel Mondiale, sempre sotto l’ala di Eraldo Ferracci. L’anno dopo vestì i colori della Promotor, formazione satellite Ducati appoggiata da un magnate austriaco e diretta da Davide Tardozzi. Nel ’96 la Ducati aveva perso Carl Fogarty, scappato in Honda dopo i due mondiali targati Ducati, e aveva puntato tutto su John Kocinski, punta del team interno diretto da Virginio Ferrrari. La strada di Troy Corser sembrava sbarrata, invece per tutto l’anno andò più forte dell’ex ragazzo terribile del Motomondiale. La spallata al titolo arrivò nel penultimo round, ad Albacete. Nel round finale a Phillip Island l’armata Honda HRC fece uno sforzo tecnico terrificante, ma Aaron Slight cadde alla Siberia nel bel mezzo di gara 1, spalancando la strada verso la gloria di Troy Corser. Il pubblico impazzì per questo spettacolare australiano che festeggiava il primo titolo Mondiale dal podio di casa.

Il brivido che Tardozzi ricorda…

Finì tutto il gloria, ma che brivido: durante la corsa Troy Corser prese in pieno un gabbiano, parcheggiando la Ducati sotto al podio con il povero volatile ancora incastrato nella presa d’aria. Sarebbe potuto capitare il peggio: una rottura, magari anche una rovinosa caduta, ma il destino era stato benevolo. Davide Tardozzi ricorderà sicuramente quello spavento. Su Motosprint, celebrando Troy Corser l’ex operaio, scrissi questa frase: “E’ bello vedere che qualche volta vincono anche i bravi ragazzi”.

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