18 Aprile 2020

VIDEO Superbike: Monza 1996, quando eravamo re

Com'era la Superbike dei tempi d'oro? Un frammento video e qualche aneddoto raccontato da chi c'era. Rivalità, spettacolo e Monza invasa da un mare di folla

Superbike, Carl Fogarty

In questo momento, in un’altra vita, avremmo potuto essere ad Assen a studiare il cronologico delle qualifiche Superbike. Jonathan Rea sarebbe scappato via subito, o Scott Redding – che in Olanda era andato a podio in MotoGP –  gli avrebbe reso vita dura? Le Yamaha di  Toprak Razgatlioglu e Michael van der Mark avrebbero potuto metterci mano? Invece siamo a casa, a ripensare ai bei  tempi che furono. Lucio Rizzica, telecronista di auto e calcio su Sky, ha sollevato un’onda di nostalgia condividendo con me il finale di gara 1 della Superbike a Monza nel 1996. La TV non era quella di oggi, non c’era l’alta definizione, neanche il 16:9. Ma tutto il resto, vuoi mettere? L’Autodromo Nazionale pieno di folla, non solo in tribuna, anche lungo i rettilinei e qualcuno pure sugli alberi. Una corsa mozzafiato, sul filo dei 190 km/h. Fogarty, Slight, Chili, Corser e un giovanissimo Colin Edwards, ai primi passi nel Mondiale. Lucio ed io al commento, in diretta su SKY, che a quei tempi si chiamava Tele+. “Bei momenti, ricordi meravigliosi” ha scritto Lucio Rizzica. Proprio vero…

LA STREPITOSA ANNATA 1996

Carl Fogarty (in primo piano nella foto d’apertura) veniva dai bassifondi di Blackburn, un’adolescenza difficile che gli aveva scolpito il volto da duro. Aveva occhi fiammeggianti, lo sguardo della tigre. Che andasse forte lo sapevano tutti: al TT aveva fatto il record assoluto con una Yamaha tirata giù dalla vetrina di un negozio. Era un matto da legare, per questo i grandi team non gli davano fiducia. Nel ’92, per campare, gareggiò dovunque capitasse: corse stradali, Superbike, nell’Endurance e perfino nel campionato malese. Arrivò in Ducati nel ’93,  dalla porta di servizio ma senza chiedere permesso: Raymond Roche gli fece una guerra spietata, ma non ci fu verso. L’anno dopo Carl era ufficiale e in poco tempo sarebbe diventato The King: a Brands Hatch, il salotto londinese dei motori, la Superbike faceva più pubblico che la F.1 a Silverstone. Si mettevano in coda alle sette del mattino, per vedere lui,  Foggy. Dopo due Mondiali dominati, King Carl  tradì la Ducati e andò alla Honda. A Bologna se la legarono al dito e pescarono John Kocinski, stella americana che nei GP non era mai completamente decollata. Un altro talento purissimo.

DUCATI, QUEL BOX BOLLENTE

A Monza, sulla pista di casa e davanti a un mare di folla, quel 16 giugno 1996 la Ducati aspettava il traditore al varco. Nei tre round precedenti Misano, Donington e Hockenheim il britannico era stato l’ombra di se stesso. Sulla Honda RC45, una quattro cilindri, non si raccapezzava. Ma in Brianza non andò esattamente come pensavano gli uomini in Rosso. Nel finale di gara 1, che potete rivivere nel video qui sopra, Foggy tornò Re. Uno spunto micidiale, una vittoria impossibile strappata con il cuore stretto nel pugno destro, come riusciva a lui. Kocinski invece cadde subito. Una sconfitta bruciante, che non ebbe appello. Perchè nell’intervallo il bizzoso americano pretese di usare la stessa moto incidentata, andando contro il consiglio del capo tecnico Franco Farnè e del direttore del team, l’ex iridato Virginio Ferrari. La Ducati si ruppe al primo giro. Little John perdeva il controllo spesso, anche quella volta. Torno ai box e inveì contro chiunque gli capitasse a tiro. La stagione era appena all’inizio, ma niente sarebbe più stato come prima. Nel ’97, l’anno dopo, Kocinski andò alla Honda e vinse il Mondiale, battendo Fogarty tornato alla Ducati.

PIEFRANCESCO CHILI NON LA MANDO’ A DIRE

In gara 2 il bolognese fece esplodere Monza centrando una delle vittorie più sofferte e incredibili che la Superbike ricordi. In cabina commento, per l’entusiasmo, io e Lucio perdemmo la voce, forse anche il senno.  Piefrancesco Chili, anche. Tagliò il traguardo in un boato pazzesco del pubblico, ma invece di festeggiare mandò tutti a fanculo. Ce l’aveva con la Ducati, che stava concentrando le attenzioni tecniche sull’astro nascente Troy Corser, invece che su di lui. Insomma, fu un pomeriggio di grandi emozioni  rivalità che sarebbero rimaste scolpite nel tempo.

CHI C’ERA DIETRO QUELLA FAVOLA?

In quel 1996 il calendario Mondiale contava dodici round. C’erano due tappe italiane come adesso, Misano e Monza, ma il respiro era molto più globale. In quella stagione la Superbike volò a Laguna Seca (Stati Uniti), Sentul (Indonesia), Sugo (Giappone) e gran finale a Phillip Island (Australia). A vincere il titolo fu Troy Corser: il terzo incomodo aveva messo d’accordo i due grandi rivali, Fogarty e Kocinski. Il gestore era la SBK International, società  controllata da Maurizio e Paolo Flammini. Durante il loro regno, durato dal 1990 al 2012, i fratelli romani vendettero e ricomprarono il Mondiale ben quattro volte. Facendo ogni volta plusvalenze da nababbi, e mantenendo sempre saldamente il controllo delle operazioni. L’abilità dei Flammini fu disegnare la Superbike come contraltare del Motomondiale: di là i fighetti super pagati, le stelle irraggiungibili dai tifosi. Di qua i piloti duri e puri: gente che aveva lavorato nei porti, come Troy Corser, e che all’ultimo giro per superarti non ti guardava in faccia, nè ci pensava  su. Il pubblico poteva mettere il naso dovunque, e bersi una birra con Fogarty, che aveva tantissimi tifosi e seminava lattine sui tavoli dei pub. Proporsi come l’altra faccia delle corse funzionava: la concorrenza è sempre stata l’anima del successo.

GLI ALBORI DI TV E INTERNET

Tele+ aveva acquisito i diritti della Superbike l’anno prima, nel ’95. Diretta a pagamento,  la sera replica per tutti. A quei tempi il Mondiale andava in sintesi anche sulla RAI, e aveva uno spazio fisso alla Domenica Sportiva, il programma sportivo più seguito. I Flammini erano tipi svegli, apertissimi alle novità: bastava arrivare prima del Motomondiale. Proprio in quel 1996 la Superbike approdò sul web. Proprio a  Monza il promoter parlò del successo del portale, vantando “7 mila accessi giornalieri da tutto il mondo”:  24 anni fa “modem” era una parola ancora quasi sconosciuta. Oggi il sito ufficiale della Superbike dei tempi d’oro non c’è più. Il dominio, se vi interessa, è in vendita a 990 €…

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2 commenti

  1. marcogurrier_911 ha detto:

    Grazie Direttore le ore passano liete facendoci leggere questi aneddoti: per noi, miele puro.
    Grazie