26 Agosto 2014

Tragico 2014 al TT, già 4 piloti morti. Che senso ha?

Due vittime nelle qualifiche del ManxGP la scorsa settimana, lo stesso tragico bilancio nel più celebre Tourist Trophy del giugno scorso. Il terribile Mountain Circuit dell’Isola di Man, 60,7 chilometri tra case, alberi e muri, continua a mietere vittime. Eppure si continua a correre, e sempre più forte. Da oggi a venerdi centinaia di piloti […]

Due vittime nelle qualifiche del ManxGP la scorsa settimana, lo stesso tragico bilancio nel più celebre Tourist Trophy del giugno scorso. Il terribile Mountain Circuit dell’Isola di Man, 60,7 chilometri tra case, alberi e muri, continua a mietere vittime. Eppure si continua a correre, e sempre più forte. Da oggi a venerdi centinaia di piloti prenderanno parte alle sei gare previste dal programma del ManxGP riservato agli esordienti e agli amatori. Come se nulla fosse successo. Anzi. Nell’era dei social l’interesse per le corse su strada sta crescendo a dismisura, e non solo per l’attenzione morbosa che ogni tragedia suscita. Le liste di partenza sono sempre più folte, stanno arrivando grossi sponsor e sale l’interesse delle Case. E’ tornata perfino la Bmw che ha dominato il TT con Michael Dunlop 75 anni dopo l’ultimo successo. Perchè?

Tim Moorhead, 50 anni, è morto venerdi 22 agosto al ManxGP

CIAO PROF – L’ultima vittima è il britannico Tim Moorhead, 50 anni. Si è schiantato venerdi scorso durante le prove del ManxGP cui partecipava per la terza volta. Tre giorni prima era morto Stephen McIlvenna, 39 anni. Due vittime in tre giorni, e il ManxGP deve ancora cominciare. Lo scorso giugno nel Tourist Trophy, la gara di moto più antica del Mondo (1907)  c’erano stati altri due incidenti mortali durante le gare. Nella Supersport Bob Price, 65 anni, era finito a tutta velocità contro il muro del pub di Ballaugh Bridge tradito da un problema meccanico. Tre giorni più tardi Karl Harris, 34 anni, perse la vita finendo contro una roccia nella Superstock 1000. Il Mountain Circuit non guarda in faccia a nessuno: Moorhead e McIlvenna erano piloti amatori, Price un veterano, Karl Harris  un grande campione: sulle piste normali aveva conquistato un europeo e tre titoli nazionali. Tutti matti da legare? No. Moorhead era professore associato alla Kent Law University e aveva appena pubblicato un libro.

Tim Moorhead era professore associato alla Kent Law University

OLTRE IL LIMITE – I due incidenti dei giorni scorsi si sono verificati entrambi nella sezione di Montagna: Moorhead è volato via al Black Hut, McIlvenna al Mountain Mile. Vicino c’è la Verandah, dove nel 1972 durante il GP d’Inghilterra 125GP morì Gilberto Parlotti. Proprio questa ennesima tragedia spinse i piloti del Motomondiale a dire basta al TT. L’Isola di Man non assegna più titoli, ma il fascino perverso della folle sfida al pericolo è più vivo che mai. Anche Harris è morto nella stessa sezione del tracciato, al velocissimo Joey’s Memorial. Ma è solo un caso, perchè per 60,7 chilometri ogni istante può essere fatale. Gli specialisti girano a oltre 210 km/h di media, più forte che su qualsiasi pista permanente.  Gli amatori vanno poco meno e a queste velocità il minimo errore o un eventuale problema meccanico si pagano cari. Di recente gli organizzatori hanno lanciato una campagna di sicurezza avallata da uno sponsor italiano e alcuni ostacoli sono stati protetti da cuscini gonfiati simili a quelli che si usano in MotoGP, Superbike e nello sci. Meglio di niente, certo. Ma l’airfence sistemato su una casa ai bordi di un curvone da 250 all’ora dà più l’impressione di proteggere la facciata che la vita dei piloti.

Karl Harris, 34 anni, è morto durante il TT Superstock nel giugno scorso.

CHE SENSO HA? – All’Isola di Man i piloti si schierano in fila indiana, distanziati di dieci secondi. Sanno benissimo che ci sono altissime probabilità che qualcuno di loro non veda l’arrivo. Eppure partono lo stesso a gas spalancato giù nella discesa di Bray Hill, sfiorando marciapiedi e i muri delle villette. Il senso lo ha spiegato ieri sera Sheila Moorhead, la vedova dell’ultima vittima. “Mio marito amava le corse, e anch’io. Sapevamo che sarebbe potuto succedere, ne abbiamo sempre parlato liberamente. Tim era una persona splendida, è stato un esempio per tutti: per i figli e per i suoi studenti. Non rimpiango neanche un secondo dei vent’anni che ho passato insieme a lui.” Tim correva per svago, Michael Dunlop, 24 anni, è il nuovo eroe del TT: quest’anno ha vinto le quattro corse più importanti, incassando oltre agli (scarsi) premi d’arrivo anche un bonus di 250 mila € dalla Bmw. Nessuno alla sua età aveva già vinto 11 TT. E’ figlio di Robert, morto alla NorthWest200, e nipote del mitico Joey che dopo 26 trionfi al TT è scomparso durante una gara amatoriale in Estonia cui partecipava per beneficenza. “I piloti non sono né pazzi né stupidi, so che potrei  lasciarci la pelle. Ma nessuna pista è così eccitante come il Mountain Circuit, continuerò a correrci,  se possibile sempre più forte. Ho ancora dei secondi da togliere…”

FONDAMENTALISMO – Confesso che le corse su strada mi piacciono molto. Ho un grande rispetto per chi ci corre  sapendo di andare incontro a rischi estremi. Ma il fanatismo che gira sul web è  fuori luogo. Nei giorni scorsi sul sito www.gazzetta.it molti hanno commentato che “scrivete del TT solo perchè ci sono i morti.” Come se fosse colpa dei giornalisti se ogni due gare al TT c’è una vittima da piangere: non è per dire, è proprio la media aritmetica degli ultimi tempi. Gli stessi appassionati “duri e puri” ritengono il TT la vera essenza delle corse e considerano la MotoGP un noioso surrogato da piloti senza palle. Scemenze.  Molti piloti di MotoGP e Superbike amano il TT, a cominciare da Valentino Rossi che ha girato sul Mountain con la Yamaha R1, non propriamente a passo turistico. Il parallelo è assurdo:  la MotoGP è motociclismo, il TT è una sfida senza rete e troppo spesso senza ritorno. Amare le gare su strada non significa far finta che i morti non esistano. Davanti alle terribili immagini amatoriali di Bob Price che si schianta inerme contro un pub, mi sono chiesto mille volte: che senso ha?

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