24 Dicembre 2022

Superbike: Immaginate un test di Rea e Toprak sulla Ducati di Bautista?

Detta così sembra uno scherzo, invece ai tempi dell'epoca d'oro Superbike è successo davvero. Ecco come andò

Superbike, Raymond Roche

Chiudete gli occhi e immaginate la Ducati che fa provare la Panigale V4R di Alvaro Bautista ai piloti che hanno provato a strappargli il Mondiale Superbike 2022, cioè Jonathan Rea e Toprak Razgatlioglu, gli ufficiali delle Marche concorrenti. Non c’è bisogno che vi svegliate sudati, è successo davvero, in quella che gli appassionati (anche chi ancora non era nato) dipingono come “Golden Era” della Superbike, proprio per vicende come questa che state per leggere.

La magica edizione 1990

Il Mondiale Superbike 1990 segnò la svolta per diversi motivi. Era la terza edizione del Mondiale, ma la prima gestita da Maurizio Flammini. Il promoter romano portò dentro grandi sponsor, come l’italiana Diesel (abbigliamento) che dette denominazione a quella edizione, e – seppure timidamente – anche la TV, con Rai e Telemontecarlo che offrivano sintesi di ogni round il giovedi successivo. Dopo due trionfi Honda con Fred Merkel, il ’90 suggellò anche il primo, storico successo Mondiale della Ducati con Raymond Roche. Si stava aprendo un’epoca di conquiste a ripetizione che si sarebbe spezzata solo nel 2011, l’ultimo titolo di Carlos Checa prima del lunghissimo digiuno interrotto quest’anno da Alvaro Bautista. Roche, francese di Marsiglia, veniva dalla 500 GP e il team ufficiale Ducati era diretto da Marco Lucchinelli, ex iridato 500. Personaggi così carismatici che messi insieme diventavano miscela esplosiva. Lucky due anni prima aveva tentato lui l’assalto alla Superbike, ma dopo il successo nella gara d’apertura a Donington, la 851 si era rotta troppe volte per portarlo sul trono. Si riscattava vincendo da team manager.

Una squadra di matti

Oggi la Ducati fa più notizia quando perde, ma in quel 1990 il trionfo fece epoca. Raymond Roche quell’anno vinse a Sugo, in Giappone, dove una marca italiana non primeggiava da 37 anni, con Mike Hailwood su MV Agusta. Poi sbancò il Mondiale, abbattendo le speranze dei giganti giapponesi a Philip Island, in Australia, con un round d’anticipo. Non fu facile, perchè in quella edizione correvano in forma ufficiale Honda, Kawasaki, Suzuki e Yamaha: c’erano diciotto piloti ufficiali sullo schieramento. Raymond Roche e i meccanici impazzirono di gioia, trascinati dal guascone Marco Lucchinelli. Durante gara 2, a giochi fatti, il capo fece esporre il cartello “Box?” che Roche non capì: Marco voleva che rientrasse prima dell’arrivo, in segno di superiorità e per scatenare subito la festa. La notte dopo fu lunghissima e ad alto tasso alcolico. Tanto che al rientro in hotel una delle auto della squadra rischiò di finire giù dal ponte che collega la terraferma con Phillip Island.

Prego, accomodatevi!

La Ducati correva con la bicilindrica 851, contro le 750 quattro cilindri dei giapponesi. A quell’epoca le Superbike avevano 120-130 cavalli (cento meno di oggi…) ma il “Razzo Italiano”, come lo chiamavano gli americani, sul dritto faceva sfracelli. Per cui, per l’intera stagione, gli avversari mugugnarono sulla maggiore cubatura, esattamente come oggi si lamentano del peso piuma Bautista. Dopo l’Australia la Superbike volò in Nuova Zelanda, per il round conclusivo di Manfeild, a giochi fatti. Così Marco Lucchinelli, per spazzare via le critiche, invitò gli avversari a farsi un giro con la 851 di Raymond Roche. Successe il giovedì, alla vigilia delle prime prove, e non si fecero pregare. Sulla Ducati appena laureatasi campione del Mondo salirono, fra gli altri, Stephane Mertens pupillo Honda, Rob Mc Elnea ufficiale Yamaha, e anche il nostro Fabrizio Pirovano, che con la Yamaha OW01 preparata da Giuseppe Russo (ma, da quell’anno, seguita molto da vicino da Yamaha Motor Co…) aveva vinto quattro delle precedenti sei corse.

Proviamo a proporlo oggi?

Il più veloce fu proprio il Piro, in 1’12”, circa tre secondi più lento rispetto ai tempi che i migliori avrebbero stampato, con le loro rispettive moto, nelle qualifiche ufficiali. Visto che c’era, fece qualche giro anche Marco Lucchinelli stesso, che nel ’90 aveva 36 anni ma si era ritirato a fine ’88. Girò in 1’16”, neanche male considerando che probabilmente non aveva ancora smaltito le sbornie di Phillip Island. Anche quest’anno la Ducati ha vinto il Mondiale con un round d’anticipo, in Indonesia, e la settimana successiva è andata a correre a Phillip Island. Però il giovedì non è venuto in mente a nessuno di far provare la Panigale a Jonathan Rea, Toprak Razgtalioglu e qualche altro avversario. La Superbike anni ’90 era azzardo, ambizione e follia. Per questo è ricordata come “Golden Era”, mentre quella di adesso è soltanto un bel campionato di moto.

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