24 Luglio 2013

L'ultimo sguardo di Andrea

Simone Corsini, 31 anni, è stato molto più del tecnico delle sospensioni di Antonelli. Era un amico. Domenica, sulla griglia di partenza, “Simo” è stato l’ultimo a stringere la mano e a guardare Andrea negli occhi. Due minuti prima. “Lo sguardo e l’intesa che c’è tra un tecnico e un pilota è qualcosa di indescrivibile. […]

Simone Corsini, 31 anni, è stato molto più del tecnico delle sospensioni di Antonelli. Era un amico. Domenica, sulla griglia di partenza, “Simo” è stato l’ultimo a stringere la mano e a guardare Andrea negli occhi. Due minuti prima.
Lo sguardo e l’intesa che c’è tra un tecnico e un pilota è qualcosa di indescrivibile. Capite cosa voglio dire guardando questa foto, la più bella foto della mia vita. La forza di Andrea era lavorare su di se per far lavorare noi: tutti i piloti dovrebbero capire questa frase. Era riuscito a dare il massimo a noi, e noi stavamo dando il massimo a lui. Una grinta comune che ci portava ad andare sempre più forte, i risultati lo dimostrano. Eravamo arrivati alla svolta e alla consapevolezza di essere forti. Un sogno. Che lui e noi abbiamo percepito tra venerdi e domenica mattina. Peccato sia durato poco. In queste ore parlo con lui. ‘Andrea, da lassù seguimi, fai il tifo. E aiutami nelle decisioni importanti, quelle dell’ultimo decimo. Come facevo con te senza sbagliare mai”.

L’ultima stretta di mano sulla griglia di partenza del GP di Russia: Andrea Antonell, 25 anni, e Simone Corsini, 31

Ecco, l’ultimo sguardo. Ce lo racconti?
“Eravamo molto a posto, fiduciosi. Sapevamo che sul bagnato avevamo la possibilità di vincere. Sulla griglia ho fatto due piccoli ritocchi alla taratura, una cosa banale. Salutandolo non gli ho detto nulla. Strano, di solito due parole escono sempre. Domenica no. Ci siamo stretti la mano, ma è stata diverso dalle altre volte. L’ho guardato negli occhi come per dire: vai tranquillo Andrea , fai la tua gara e divertiti.”

Simone, tu eri in griglia di partenza.La gara poteva partire o pioveva troppo forte?
Avevamo i computer aperti, non si è bagnato neanche lo schermo. Era piovuto tanto prima, ma al momento del via le condizioni erano assolutamente normali. Fatalità. Doveva succedere, fosse stato ottavo o terzo era destino che per lui la pista finisse lì”.

Si poteva evitare?
“No, è stato un destino. Quando filano in rettilineo, che piova o sia asciutto, i piloti sono abituati a spingere a tutto gas. Incollati. Non è come in strada che stai attento agli ostacoli. Ho avuto piloti che hanno corso al Mugello sotto la pioggia senza visiera del casco, percorrendo il rettilineo ad occhi chiusi e vincendo la gara. Zanetti non poteva fare niente, assolutamente”.

Hai parlato di segni premonitori. Spiegaci.
“Fin da subito è stata una trasferta strana. Il Moscow Raceway è un posto triste, freddo. Ero stato in Russia lo scorso agosto per il Mondiale, poi una volta per il campionato russo. Era la terza volta. Eravamo tutti tesi, non mi spiego perchè. A tavola, due ore prima del via, papà Arnaldo si è messo a piangere. All’improvviso. ‘Arnaldo ma che fai, che succede?’ Lui ci ha risposto: “Ragazzi, sono stressato, ho paura.

Che opinione ti eri fatto di Andrea, come pilota?
“Non lo conoscevo, ci siamo visti la prima volta a gennaio. Test a Binetto. I grossi team giravano da due mesi, dappertutto. Noi mezza giornata. Gli abbiamo portato varie soluzioni tecniche, lui le ha provate e a sera gli abbiamo chiesto cosa voleva che mettessimo nelle casse per l’Australia. ‘Portate quello che volete, io andrò forte con quello che mi date.’ Non l’ho mai visto scuotere la testa. Un campione vero”.

Avrebbe potuto vincere quella gara maledetta?
“Stavamo disputando una stagione fantastica. In prova a volte abbiamo stentato, ma lui ci diceva ‘Tranquilli ragazzi, in gara ci penso io. Ad Aragon siamo partiti 17° e siamo arrivati nei dieci, a Donington 23° e siamo arrivati settimi, davanti a parecchi piloti ufficiali. In Russia eravamo lì, quarti in griglia. Mancava l’ultimo passo, provare a battere Sam Lowes e Kenan Sofuoglu, i migliori. Prima o poi Andrea ce l’avrebbe fatta.”

Sei tornato a casa con papà Arnaldo. Ci racconti di lui?
“Arnaldo ci ha dato tanto forza. Credeva nella squadra, ci incitava di continuo, ci faceva andare al massimo. Veniva nei box, ci guardava e diceva: ‘Ragazzi, studiate bene, lo so che è dura ma non molliamo.’ Ce lo diceva con dolcezza, con speranza. Ci dava una forza enorme, e tanto coraggio. I genitori dei piloti sono quasi sempre insopportabili, si lamentano coi tecnici per giustificare i cattivi risultati dei figli. Arnaldo è stato diverso.”

Che rapporto c’era tra Arnaldo e Andrea?
‘Qualche volta facevano delle litigate tremende. Noi li lasciavamo fare, che si sfogassero tra di loro. Perchè erano litigate che si trasformavano in grinta. Andrea ne usciva ogni volta più forte.”

Hai salutato Arnaldo lunedi a tarda sera. Con quali parole?
“Gli ho chiesto di continuare a venire ancora in pista con noi. Lo so che sarà dura per lui. Mi ha risposto ‘No ragazzi, io voglio uscire da questo mondo.’ Lo capisco. Ma ci proveremo, lo aspetteremo. Magari il prossimo anno.”

Bastava scivolare dieci centimetri più a sinistra e Andrea si sarebbe rialzato, come mille altri.
“Si, bastava niente, ma è andata così. Stavamo già parlando del futuro, voleva passare in Superbike e la nuova categoria Evo sembrava tagliata apposta per lui e per una squadra come la nostra. Andrea stava facendo il salto in avanti, e lo stava facendo fare anche a noi tecnici. Ci stavamo guadagnando la luce dei riflettori.”

Che clima c’era al team GoEleven?
“Pazzesco, io non ho mai visto un gruppo di gente così. Gianni Ramello, il proprietario, ha amato Andrea come un figlio. Ogni volta che finiva la gara gli diceva in un orecchio ‘Io la stagione non la finisco, mi fai venire un infarto a guidare così.’ Denis Sacchetti, il direttore sportivo, è rimasto a Mosca per riportare Andrea dai suoi genitori. Le nostre trasferte erano una cosa fantastica, sembavano una vacanza, non vedevamo l’ora di correre. Avremmo vinto, molto presto.”

Con Andrea eri legato anche fuori dai circuiti?
“Stava nascendo una bella amicizia. Ad agosto, dopo Silverstone, saremmo andati in vacanza insieme, all’isola d’Elba.”

La vita va avanti, le corse anche. Chi arriverà al posto di Andrea?
“Certamente non uno chiunque, Ramello e Sacchetti cercheranno uno degno. Perchè quella sarà sempre la moto di Andrea, la daremo solo a qualcuno che lui stimava. Vogliamo che da lassù Andrea sia felice di vedere correre ancora la sua moto.”

Simone, per te quanto sarà dura tornare nel box?
“Metto a posto le sospensioni anche per alcuni piloti del CIV e da giovedi avrei dovuto essere a Imola. Ma che ci vado a fare? In queste ore ho tanta paura, mi viene da piangere molte volte al giorno. Cosi, improvvisamente. Mica posso andare a Imola e mettermi a piangere nel box. Non me la sento.”

Ma prima o poi tornerai…
“A Silverstone, il 4 agosto, il team GoEleven ci sarà. E io ci sarò. Abbiamo Christian Gamarino che sta facendo molto bene nell’Europeo Stock. Ho un grande sogno: aiutarlo a vincere. Perchè io sono sicuro: a Silverstone, noi vinciamo.”

In bocca al lupo, Simo.

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