10 Luglio 2017

Crisi Superbike: C’era una volta in America

Il dominio di Rea non c'entra, sono altri i problemi di un Mondiale che alla sosta estiva non ha più niente da dire. Cancellare il passato è stato un errore capitale....

Nel week end di Laguna Seca il Mondiale Superbike ci ha offerto uno spaccato preciso di virtù e problemi.

IL BELLO – La sfida del sabato è stata esaltante: una bellissima battaglia a tre, spettacolari sorpassi al Cavatappi e l’impresa d’altri tempi di Chaz Davies, tornato alla vittoria tre settimane dopo aver rischiato di morire. Adrenalina, rivalità, passione. 

IL BRUTTO – La domenica è stata tutt’altra musica. La pantomima regolamentare dei primi tre del giorno prima retrocessi in terza fila, anziché aumentare lo spettacolo, lo ha ucciso nella culla. Perchè, sapendo che ogni round ci sarebbe stato da fronteggiare questo handicap, la Kawasaki ha preparato un launch System da spavento, che ha permesso a Tom Sykes e Jonathan Rea di recuperare la prima e seconda posizione in poche curve. La Ducati di Chaz Davies non è ancora a quel livello, il gallese è rimasto nel traffico e tanti saluti all’attesissima rivincita.  

SVILUPPO – Il messaggio è chiaro è forte, per cui mettetevelo bene in testa: se ad un reparto corse concentrato al cento per cento sulla Superbike poni davanti il problema di schizzare via dalla terza fila, gli ingegneri si mettono al lavoro, e risolvono il problema. Per cui: se pensate che introdurre restrizioni regolamentari possa servire a riequilibrare i valori in campo, vi sbagliate di grosso. Più le moto saranno di “serie”, più i top team lavoreranno per aggirare le regole (in maniera più o meno legale…) e mantenere le stesse prestazioni.  Alla Kawasaki quest’anno è stata tolta la possibilità di comandare le farfalle dell’alimentazioni due a due, adesso è obbligatorio l’uso del sistema di serie, ma Jonathan Rea negli Usa ha migliorato il tempo sulla distanza gara di 15 secondi. 

EQUILIBRIO? Quindi la ricetta per guarire la Superbike non è così facile come vi stanno raccontando. Del resto di quale equilibrio stiamo parlando? Nel 2002, l’anno d’oro del confronto stellare Troy Bayliss vs Colin Edwards (nella foto d’apertura il duello a Laguna Seca) con oltre 100 mila spettatori alla superfinale di Imola e la A14 bloccata per ore, ci furono solo tre vincitori, compreso Makoto Tamada wild card a Sugo. Cioè: due piloti  vinsero tutte le corse, eccetto una. Eppure la Superbike andava fortissimo, anche se chi non aveva le gomme Michelin iperufficiali (esclusiva di Troy e Colin) incassava distacchi abissali. Non è neanche questione di spessore dei piloti, perchè è noto che Bayliss e Edwards fossero campioni carismatici e accattivanti, ma pure Jonathan Rea è un campione pazzesco. Se solo avesse un contraltare fisso, per esempio un Chaz Davies competitivo ogni volta, sarebbe un duello favoloso. Infatti gara 1 a Laguna Seca è stata emozionante. 

TABULA RASA – Inutile girarci intorno, il vero problema della Superbike di oggi è la gestione. La Dorna in alcune aree lavora benissimo. La produzione TV, per esempio, oggi è anni luce avanti rispetto ai tempi di Flammini. A livello commerciale Dorna ci sa fare, ho l’impressione che non ci siano mai stati tanti sponsor nel paddock come adesso, e del resto il bilancio economico 2015 del promoter era in attivo.  Ma gli spagnoli non sanno niente del campionato che organizzano e quando Carmelo Ezpeleta vi racconta che “La Superbike deve tornare alle origini, cioè alle vere derivate dalla serie” non si capisce a cosa alluda. Bayliss e Edwards guidavano due MotoGP mascherate, Ducati e Honda del 2002 di serie non avevano neanche il marchietto sul serbatoio. Sfatiamo un tabù, la Superbike non è mai stata “di serie” e le  mitiche maxi  americane che hanno fatto sbocciare fior di talenti negli anni settanta-ottanta avevano il manubrio alto e la sella da strada, ma a livello tecnico erano mostri ultrapreparati. I costruttori avevano ampio margine di manovra e a livello motoristico di serie c’era  solo  il basamento. Non sempre… 

FUTURO – Il destino della Superbike dunque è affidato a manager che magari sono bravi in altre cose, ma non conoscono per niente la natura del loro “prodotto”. Aver tagliato i ponti con l’era Flammini, cioè aver fatto tabula rasa dell’intera catena di gestione, è stato un grave errore di supponenza. Che adesso sarà molto difficile rimediare. 

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