20 Dicembre 2022

Superbike: Razgatlioglu in decollo è lo scatto dell’anno, ecco chi c’è dietro

Silvio Tosseghini è l'autore di questa incredibile foto di Razgtalioglu nella Superbike a Portimao. Come si cattura un'immagine così?

Razgtalioglu, Superbike

Riuscire a cogliere il momento esatto, catturare un attimo preciso: detta così sembra facile, in realtà non lo è davvero. Ma Silvio Tosseghini, esperto fotografo presente nel Mondiale Superbike dal 2006, ci è decisamente riuscito nel momento in cui ha immortalato il “volo” di Toprak Razgatlioglu a Portimao. Un’immagine che ha fatto il giro del web e che lo stesso campione 2021 ha decisamente apprezzato. Ma cosa c’è dietro un momento così particolare? Com’è il lavoro del fotografo in un campionato del mondo? Abbiamo fatto due chiacchiere con Tosseghini, ecco cosa ci ha raccontato.

Come si arriva a scattare una foto così? Che preparazione c’è dietro?

Era un punto in cui si sbucava all’improvviso, quindi mi sono preparato prima dell’arrivo del pilota. Ho messo a fuoco manualmente il punto in cui pensavo di scattare la foto. Quando l’ho visto sbucare all’ultimo, l’immagine era a fuoco e ho sparato! Era poi il giro di rientro e, conoscendo Toprak, sapevo che avrebbe combinato qualcosa prima di tornare al box, quindi lo stavo tenendo d’occhio. Lì ha fatto davvero un bel volo! Sembrava di essere al Tourist Trophy.

C’è qualche “trucco” per riuscire a cogliere un momento così particolare?

L’esperienza certamente ci vuole. Io poi sono sempre andato in moto, quindi conosco le traiettorie, quello che potrebbero combinare i piloti… Lo so, essendo sempre stato un motociclista. Oppure penso alle bagarre: se i piloti sono tanto, tanto vicini è facile che succeda qualcosa, basta stare più attenti. Ma ripenso anche alla caduta di Imola [2017], quando a Laverty s’è incendiata l’Aprilia. Che spavento! La fiammata ed il fumo nero, pensavamo il peggio! Io ero lì, ho avuto una bella prontezza di riflessi e sono riuscito a prenderlo. Ero anche l’unico in quel punto: nel posto giusto al momento giusto, però bisogna riuscire anche a portare a casa il lavoro. Ci vuole fortuna, ma serve anche sveltezza, prontezza di riflessi, comunque la si chiami, per prendere il momento.

Cos’ha detto Toprak Razgatlioglu quando ha visto la foto?

L’ha apprezzata tantissimo! Mi ha chiesto di fargliela gigante perché la vuole. Anzi di farne due copie, una per lui e una per me: in quella per me ha intenzione di scrivermi una dedica. È piaciuta molto anche ad Andrea Dosoli, a tutti gli uomini Yamaha, poi Remo Gobbi, “il signor Pata” come lo chiamo io, è rimasto no contento, di più! Quella foto ha fatto il giro del mondo, era su tutti i social. Era davvero contento, tant’è vero che mi ha già dato il lavoro anche per l’anno prossimo.

Ci racconta un po’ com’è il suo lavoro di fotografo nel Mondiale Superbike?

Tre giorni di fuoco! Tutti poi sono convinti che, una volta fatta la foto, l’ha già scaricata e tutto, quindi che bastino cinque minuti per averla. Invece ci vuole il suo tempo per guardarla, controllarla, dividere questa per uno, quella per l’altro… In generale poi si tratta di tre giorni davvero intensi tra prove, gare, spesso e volentieri anche la griglia di partenza. Se il tuo pilota poi va sul podio, devi correre anche lì per riprenderlo. Ma prima di tutto questo bisogna organizzare i voli, gli alberghi… Bene o male trovo sempre qualche team che mi porta in giro lo scooter, ma per tanti anni ho girato a piedi, con l’obiettivo da 4,5-5 chili in spalla. Quando poi fa caldo è incredibile, si sente tantissimo in pista! È un mestiere faticoso, non è così semplice, di chilometri poi ne ho fatti davvero tanti in macchina negli anni… Quante strade, quanto sonno! Ti fermavi in una piazzola per dormire un po’, ma dopo un quarto d’ora pensavi solo che dovevi andare, e via.

C’è qualche immagine in particolare che ricorda con piacere?

Ne ricordo una nel 2008 della Superbike ad Assen, una foto che probabilmente non farò mai più: sette, otto piloti uno dietro l’altro in curva! Ero stanco di vederla in giro, ma mi ha fatto tanto piacere, è stata una grande soddisfazione (eccola qui sotto: che meraviglia, ndr)

È in Superbike da tanti anni. Cos’è cambiato col passare del tempo?

Bene o male il lavoro è sempre quello. Io poi ho la fortuna di aver lavorato e di continuare a lavorare sempre per la stessa persona, lo stesso team, senza sbattermi in giro per cercare un lavoro. Magari è perché lavoro bene, non lo so. Il paddock però era più bello in passato, un po’ più umano, mentre ora vorrebbero tutti assomigliare alla MotoGP. Ma non ci sono i fondi per farlo… Adesso poi sembra che contino solo i soldi.

Ci spieghi un po’ meglio.

È stato un cambiamento lento, ma secondo me siamo arrivati alla frutta. Ci sono team che corrono da trent’anni e fanno fatica a trovare un pilota, oppure devono farlo pagare per correre perché non hanno budget né niente. A parte le case ufficiali Ducati, Yamaha, BMW, Honda, ormai quasi tutti i piloti, i privati, pagano per correre. Andare in giro costa sempre di più, gli sponsor sono sempre meno, piloti e tecnici vanno pagati… Un’altra cosa poi che noto con rammarico è che in griglia di partenza si vede gente che non c’entra niente. A noi per il pass chiedono l’inverosimile tutti gli anni, poi arriva il primo str*** che passa e va in griglia a far le foto col telefonino. Siamo arrivati quasi al livello della MotoGP.

Il biennio segnato dalla pandemia poi di sicuro non ha aiutato.

Anche quello… In quel periodo io sono rimasto a casa sul divano a vedere le gare Superbike dalla TV, non mi sono mosso. Hanno fatto poche gare, ma era davvero arduo entrare, ci sono riusciti davvero in pochi. E anche adesso devi andare lì, presentarti con i documenti in regola, far sapere se hai fatto le vaccinazioni e tutto. Un po’ di prudenza comunque ci vuole sempre, come stare lontani da una ressa od usare la mascherina. Bisogna fare sempre attenzione.

Cosa servirebbe alla Superbike attuale?

Bisognerebbe tornare un po’ indietro e soprattutto creare un personaggio come ai tempi. Bayliss, Troy Corser, Biaggi… Un anticonformista, ma era un personaggio, cosa che attualmente manca. Adesso magari c’è Toprak che fa il fenomeno, Bautista e Rea sono invece abbastanza schivi e riservati, Rea in particolare. Bautista no, è una persona sempre allegra, sempre contenta, che saluti e lui si ferma per chiederti come stai.

Com’è il rapporto con i piloti? C’è qualcuno a cui è particolarmente legato?

Ho lavorato anche per Roberto Rolfo, è un mio grande amico: con Roby ci siamo proprio frequentati tanto al di là delle corse. Un altro pilota che ricordo con tanto, ma tanto affetto è Virginio Ferrari. A casa ho anche il suo casco Boeri giallo e verde, penso di essere uno dei pochi ad averlo.

Si è mai domandato se ne valeva davvero la pena?

Bella domanda! Se si guarda l’aspetto economico probabilmente no, è troppo poco remunerato. Le attrezzature poi sono sempre più costose, per fortuna ho dei team che mi aiutano a portarla. Se si guarda però la passione, ne valeva e ne vale davvero la pena. Certe cose si fanno solo con tanta passione, sennò non si può. Io poi sono fortunato visto che faccio qualcosa che mi piace. Devo dire poi che mi diverto ancora, finché è così andrò avanti, quando invece non mi divertirò più allora avrò finito.

Il pensiero di fermarsi quindi è ancora lontanissimo.

Finché ho questo spirito sì. Il colmo è che arrivi ad un certo punto della stagione in cui dici basta, questo è l’ultimo anno. Adesso è un mese e mezzo che sono a casa senza seguire le corse e non vedo l’ora di ricominciare!

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