17 Marzo 2018

Endurance ’75, le memorabili imprese Ducati e di Rino Caracchi

La recente scomparsa di uno dei fondatori della gloriosa Scuderia NCR di Bologna ha fatto riaffiorare storie d'eroi

Con l’addio a Rino Caracchi è ormai scomparso il mitico “Tridente” d’attacco della Ducati anni Settanta, quando Giorgio Nepoti e Rino attraverso la NCR costituivano, con la complicità interna di Franco Farné, il braccio armato della Ducati sui circuiti di tutta Europa.

IMPRESE – Se l’impresa più celebrata, anche per il riscontro mediatico, rimane la vittoria di Mike Hailwood al Tourist Trophy 1978, in realtà la prima, grande occasione che portava alla ribalta internazionale Nepoti, Caracchi e la NCR venne dal doppio successo nelle due gare inaugurali della Coupe FIM d’Endurance 1975, prefigurazione dell’attuale campionato mondiale FIM EWC, quando la 900, realizzata in Via Signorini sulla base della 750SS, sbaragliò la concorrenza in due prove mondiali dalle caratteristiche diametralmente opposte. La prima gara del campionato era la 24 Ore del Montjuich, sul celebre circuito cittadino caratterizzato da una parte iniziale veloce e da un tratto in discesa estremamente tortuoso, dove le leggerissime due tempi spagnole Bultaco e Montesa potevano sfruttare tutta la loro agilità. La gara catalana era l’avvenimento più importante del panorama motociclistico spagnolo, una specie di quello che è la 8 Ore di Suzuka per il Giappone ante litteram.

MONTJUICH – La concorrenza nell’occasione era agguerritissima: oltre alle guizzanti due tempi spagnole c’erano anche gli squadroni ufficiali Norton e BMW e quelli messi in piedi dagli importatori europei delle marche giapponesi, Kawasaki nonché Japauto e D’Holda per la Honda. L’equipaggio in sella alla 900 di Via Signorini era composto dagli spagnoli Salvador Cañellas e Benjamin Grau; quest’ultimo in sostituzione di Franco Uncini, rovinosamente caduto il venerdì distruggendo la moto ed ammaccandosi dolorosamente. Ma Giorgio e Rino non erano degli sprovveduti! Sul piccolo 238 della Scuderia c’era una moto di scorta, Grau era libero e, voilà! Il gioco era fatto. E che gioco! Al via le Kawasaki davano subito battaglia, ma già dopo la prima ora erano costrette a cedere terreno mentre la Ducati inanellava giri su giri ad un ritmo insostenibile per i rivali. Godier-Genoud, sulla carta i più pericolosi, si fermavano alla terza ora quando ormai erano attardati, alle spalle della Ducati salivano Lucchinelli-Fougeray con la Laverda 1000, ma a metà gara il loro ritardo era già di 8 giri.
Quando poi Lucchinelli veniva investito da un altro concorrente e costretto al ritiro i distacchi diventavano abissali, ma il “pompone” bolognese non arrestava la sua azione, spinto dai due spagnoli che volevano battere il record della gara. La cosa riusciva in pieno quando la bandiera a quadri sanzionava la vittoria della Ducati: Canellas e Grau avevano completato 731 giri, ben 11 in più del vecchio record! Secondi Luc-Vial con la Kawa 1000, distanziati di 13 giri, e ancora più lontane la Japauto 1000 di Ruiz-Huguet e la Honda 900 di Rigal-Chemarin.

DOPPIETTA – Il secondo atto si svolgeva dopo due settimane al Mugello, con la 1000 Km Nava Helmets; un tracciato più veloce ed una distanza più breve che facevano prevedere una gara più tirata. Nell’occasione la moto venne rivestita dalla carenatura, tolta in Spagna per favorire il raffreddamento e la maneggevolezza, ed a guidarla venne confermato l’ottimo Grau affiancandogli il giovane, emergente Virginio Ferrari.
Ed anche sulle colline toscane la bicilindrica di Giorgio e Rino mise sotto i piedi tutti i rivali, con un’azione velocissima che, dopo sette ore e mezzo di gara, portava i festeggiatissimi Ferrari e Grau sul gradino più alto del podio, davanti a Sciaresa-Romeri con la Guzzi e Brettoni-Cereghini con la Laverda. E gli squadroni jap?
La Kawasaki di Godier-Genoud pagava un distacco di 6 giri, la prima delle Japauto era a 8 giri, così come la migliore delle Triumph inglesi. Questi successi sono sempre rimasti incisi nei ricordi di Giorgio e Rino! Proprio Rino Caracchi negli ultimi anni, aveva pazientemente recuperato l’esemplare del Montjuich, ripristinandolo fedelmente. È quella stessa moto che oggi Stefano Caracchi, il figlio,  espone con orgoglio nel suo spazio espositivo a Bologna.

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