17 Febbraio 2013

Superbike di ieri: cari fotografi….

Oggi chiunque può appostarsi sul prato della Siberia, la curva più scenografica di Phillip Island, scattare la foto al campione preferito e postarla in due secondi sul social network. Venti'anni fa Internet era ancora una rete segreta di trasmissione dell'esercito americano e le macchine digitali il sogno di qualche inventore visionario. Se volevi far arrivare […]

Oggi chiunque può appostarsi sul prato della Siberia, la curva più scenografica di Phillip Island, scattare la foto al campione preferito e postarla in due secondi sul social network.

Venti'anni fa Internet era ancora una rete segreta di trasmissione dell'esercito americano e le macchine digitali il sogno di qualche inventore visionario. Se volevi far arrivare le foto ai giornali i sistemi erano due: utilizzare la telefoto, che andava bene solo per i quotidiani vista la scarsa qualità, oppure recapitare i rulli direttamente in redazione. Nei round europei era difficile, dall'Australia era un'impresa al limite dell'impossibile.

Fin dalla prima gara ho seguito la Superbike per Motosprint, per molti anni nella duplice veste di giornalista e fotografo. Nel 1991 il Mondiale alternativo stava prendendo piede ed era importante poter pubblicare foto scattate direttamente a Phillip Island. Il problema era come farle viaggiare per 16 mila chilometri, la distanza tra il circuito e sede di Bologna.

Ci riuscimmo con un piano folle e fortunato. Andò così.

Finite le prove presi la macchina e dall'Isola puntai verso l'aeroporto di Melbourne. Adesso sono 220 chilometri quasi interamente di strada a quattro corsie, che poi diventa autostrada. Ci vogliono comunque due ore e mezzo, salvo traffico. Nel 1991 era più difficile, perchè fino a Melbourne c'era una strada normale e per arrivare all'aeroporto dovevi passare in mezzo al centro della città. Servivano tre ore, sempre se non beccavi l'ora di punta.

L'idea era arrivare in aeroporto prima che partisse il volo Alitalia per Roma e convincere un passeggero qualsiasi a prendere con se la busta coi rulli. A Fiumicino un fattorino del giornale, arrivato in aereo da Bologna, avrebbe ritirato la busta e sarebbe ripartito con il volo successivo verso l'Emilia. Perchè sembrasse una cosa seria, la busta era stampata in tipografia, con il nome del giornale scritto in rosso a caratteri cubitali.

Arrivai a destinazione in perfetto orario e, con incrollabile ottimismo, raggiunsi la fila dei passeggeri davanti al ceck in. “Sono un giornalista, chi potrebbe essere così gentile di portarsi dietro questa busta fino a Roma?” Silenzio glaciale. Finchè un omino basso coi bassi, icòna perfetta dell'emigrante, si avvicinò e guardandomi storto sentenziò: “Minchia, e io che ne saccio che ci sta nella busta?”

Provate a dargli torto. Infatti tutti gli altri passeggeri gli dettero ragione. La busta rischiava di restare sconsolatamente a terra. Finchè, incuriosito dalla calca, non spuntò fuori un membro dell'equipaggio Alitalia. “La conosco, io sono un lettore, me la dia pure, ci penso io.”

Da qualche parte devo avere ancora il biglietto da visita. Se mi legge: grazie ancora!

Epilogo della storia: la busta coi rulli viaggiò nella cabina di un 747-200, atterrò a Roma in perfetto orario e finì dritta nelle mani del fattorino. Alle 9:05 della domenica mattina, grazie al fuso orario favorevole, i rulli australiani era a San Lazzaro di Savena pronti per essere sviluppati.

Il mercoledi successivo il servizio sull'Australia Superbike uscì con le foto originali da Phillip Island, invece che con quelle d'archivio.

Cari fotografi di oggi: domenica sera, quando sarete seduti comodamente davanti ai vostri computer mangia-memory-card, pensate un po' a che culo avete avuto, a nascere vent'anni più tardi.

 

 

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