16 Febbraio 2014

Amarcord Australia: quando Marco Lucchinelli rischiò di volare dal ponte

La Superbike 2014 riparte dall’Australia: sarà la 24° volta che le maxi derivate dalla serie rombano sul  fantastico saliscendi di Phillip Island.  Che dopo l’uscita di Monza è rimasto il più veloce (oltre 177 km/h la media sul giro) e il più antico in calendario. ISOLA MAGICA – Al giorno d’oggi  il circuito di Phillip […]

La Superbike 2014 riparte dall’Australia: sarà la 24° volta che le maxi derivate dalla serie rombano sul  fantastico saliscendi di Phillip Island.  Che dopo l’uscita di Monza è rimasto il più veloce (oltre 177 km/h la media sul giro) e il più antico in calendario.

Raymond Roche (Ducati) campione del Mondo Superbike 1990. Nel gruppo si riconosce Fabrizio Pirovano (Yamaha) con numero 4

ISOLA MAGICA – Al giorno d’oggi  il circuito di Phillip Island è una pietra miliare del motociclismo: spettacolare, impegnativo, senza un attimo di respiro. I piloti lo adorano e gli appassionati anche. Perchè qui, in poco più di due decenni, si sono viste battaglie memorabili, in Superbike e in MotoGP.  Ma nel 1990, quando la Superbike vi ha messo piede la prima volta, Phillip Island non lo conosceva nessuno. Fino ad allora aveva ospitato soprattutto gare di auto e le prime due edizioni del GP d’Australia Superbike, nel 1988-89, si erano svolte nel circuito salotto di Oran Park, alla periferia di Sydney.

MEMORIA – Era l’undici novembre 1990 e fu un battesimo memorabile. Phillip Island battezzò il primo, storico Mondiale della Ducati: il francese Raymond Roche non vinse, anzi fece due gare sulla difensiva (quinto e ottavo…) girando al largo dai guai. Ma bastò per far suonare a festa le campane di Borgo Panigale: per la prima volta la piccola marca bolognese aveva piegato i colossi giapponesi. Fu una mezza rivincita per Marco Lucchinelli che due anni prima era arrivato ad un passo dall’iride da pilota e tagliava il traguardo da direttore della squadra. Non proprio la stessa cosa, per lui che era stato iridato della 500.

FESTA COL BOTTO – Fuori dalla pista Roche era un pazzo scatenato, Lucky di più. La festa per il Mondiale andò molto sopra le righe e al rientro in albergo, quasi all’alba, Lucchinelli che guidava l’auto con a bordo pilota e meccanici perse il controllo proprio sul ponte che collega Phillip Island alla terraferma. Marco è ligure e il paesino li accanto si chiama San Remo, ironia della sorte. La macchina sfondò la barriera e rimase penzoloni nel vuoto, fortunatamente senza volare nell’Oceano. I superstiti, al mattino, tennero la bocca chiusa e della dinamica dell’incidente non si è mai saputo. Neanche cosa avessero bevuto  quella sera, ma possiamo ben immaginarlo. Lucchinelli aveva messo in piedi un team di gente fidatissima. Alcuni erano con lui fin dai tempi del Mondiale 500 ma quella notte amicizie di una vita andarono in frantumi. La paura aveva cancellato la gioia dell’iride.

Il francese Raymond Roche correva nel team Ducati ufficiale diretto da Marco Lucchinelli

TRIPLETTA – Nel calendario 1990  l’Australia era la seconda tappa di un trittico affascinante: la domenica prima la Superbike aveva scoperto la Malesia correndo a Shah Alam, e sette giorni dopo c’era la finalissima in Nuova Zelanda, sulla pista di Manfeild ricavata dove prima c’era un ippodromo. Piloti e tutto il seguito rimasero in giro quasi un mese anche perchè nel 1990 i viaggi non erano comodi come adesso: per tornare in Europa dalla Nuova Zelanda io impiegai 40 ore, con tappe intermedie a Auckland, Singapore, e Amsterdam. La valiga, data per persa, arrivò miracolosamente a casa 35 giorni dopo.

PRIMORDI –  Anche l’Australia era diversa. In aeroporto mancavano gli autonoleggi: ti caricavano sul taxi e prendevi l’auto nell’ufficio di città. A Melbourne non c’era ancora la circonvallazione, né il tunnel sotto il fiume Yarra. Così per prendere la statale verso Phillip Island dovevi attraversare downtown da un capo all’altro. Fortuna che spesso arrivavi all’alba, il traffico era scarso e i cappuccini meglio di quelli italiani.

COLONIA ITALIANA – Nel 1990 a Phillip Island c’erano la metà delle case di adesso, però la Rosa Scarlato c’era già, sempre sorridente al bancone del ristorante Pino’s che nei giorni di gara diventa una succursale del paddock. Quella volta vinsero Peter Goddard e Rob Phillis, due australiani che sono ancora nel giro:  Peter si è laureato in ingegneria e adesso fa il tecnico delle sospensioni. Rob Phillis, erede di Tom Sykes in Kawasaki, vive ancora nell’outback, corre qualche garetta amatoriale e tra una birra e l’altra racconta sempre storie divertenti. Come quella volta che nel giardino di casa si prese a pugni con un canguro.

SUPERSTITI – E’ passato quasi un quarto di  secolo e nella Superbike di oggi non tanti possono dire “Io c’ero”. Il dottor Massimo Corbascio è al timone della Clinica Mobile, un vero ospedale viaggiante: allora viaggiava da solo, coi medicinali stipati in una borsa. Tra i superstiti c’è Alberto “Moro” Colombo, allora meccanico-amico di Fabrizio Pirovano e oggi capotecnico di Chaz Davies in Ducati ufficiale: brianzolo, muratore mancato, è al momento il più titolato del paddock, avendo vinto sedici Mondiali tra piloti e Costruttori. Il “Moro” ha lavorato a fianco di miti come Fogarty, Bayliss, Haga, Chili. Adesso ha 47 anni, ma non li dimostra. In sala stampa c’erano già due decani della fotografia, l’inglese Kel Edge e il romano Fabrizio Porrozzi. Che il GP del ’90 se lo ricorda bene: a Melbourne, sulla via verso la Nuova Zelanda, gli rubarono tutta l’attrezzatura  lasciata in auto in un parcheggio custodito, ma chissà  da chi.

Forse c’era anche qualcun altro che ancora c’è, ma  non mi viene in mente. Il tempo passa.

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2 commenti

  1. Pito28 ha detto:

    Per questi aneddoti favolosi!