28 Gennaio 2016

Dakar, dietro le quinte di una sfida pazzesca

Maria Guidotti ci racconta la Dakar dietro le quinte. Una sfida pazzesca, specie per i privati. E anche per i giornalisti al seguito

di Maria Guidotti

E’ come il mal d’Africa, appena conclusa non vedi l’ora di tornare. La Dakar. E’ il sogno nel cassetto, è una passione da condividere con gli amici, è una foto postata su facebook con tanto di scritta: io c’ero. Perché “le Dakar est le Dakar”, una gara dove arrivare al traguardo è già un successo. Tolto i primi venti nomi della classifica, i cosiddetti “Pro”, il resto sono amatori. Ma cosa spinge 354 concorrenti a percorrere 9.346 km in 13 giorni in mezzo alla polvere e al fango? Perché un amatore arriva a spendere una fortuna per soffrire per due settimane? Gara unica nel suo genere, prima di essere una lotta contro il cronometro, è un’esperienza umana, una sfida con se stessi e la natura. Il sogno vale tanti sacrifici, perché il budget è importante: 70.000 euro – compreso moto e assistenza – è il minimo per poter puntare a finire la gara. Quando si parla di auto, i costi triplicano.

Per il britannico Chris Cork, la Dakar è valsa una casa. Per iscriversi all’edizione 2015, il costruttore di Devon ha venduto la sua dimora. Fuori al quarto giorno per le molteplici fratture riportate a seguito di una caduta, Chris era di nuovo al via quest’anno con un solo obiettivo: finire. Questa volta però non ha dovuto mettere a repentaglio la casa, perché la sua storia ha commosso mezza Inghilterra ed è stato più facile trovare gli sponsor. Purtroppo non ce l’ha fatta neanche quest’anno, nonostante il traguardo fosse vicino. La sua corsa si è fermata alla tappa 10, una delle più dure, che ha visto ben 10 moto costrette al ritiro. Tra queste anche la Honda ufficialissima di Michael Metge e le Yamaha altrettanto ufficiali di Alessandro Botturi e Xavier de Soultrait.

Dopo avere spinto la moto nella sabbia soffice ed essersi ritrovato nel bel mezzo della battaglia degli elefanti, come vengono chiamati i grandi Iveco o i Kamaz che chiudono la corsa, Cork ha dovuto fermarsi con la speranza di riprendere la corsa alle prime luci dell’alba. Ma quando ha visto arrivare l’elicottero dell’organizzazione dopo una notte passata nelle dune, ha capito che era finita. “Game over”. Ci riproverà? “Non so, a volte occorre mettere un punto. Per molti è diventata una vera ossessione. Conosco amatori al settimo tentativo. Costretti al ritiro per una caduta o un guasto meccanico, pensano già a come trovare il budget per la prossima avventura e coronare il loro sogno. La Dakar è una sfida che va ben oltre la moto, è trovare se stessi e scavarsi dentro. Quando torni a casa sei un uomo diverso. Già essere al via, vuol dire aver superato tanti ostacoli. Giorno dopo giorno ti misuri con tanti pericoli, con condizioni estreme ed inaspettate”.

Chris non è l’unico. Di storie come queste si sprecano alla Dakar e il suo fascino continua per i piloti, come per noi giornalisti al seguito, che nel nostro piccolo corriamo la nostra corsa contro il tempo e la stanchezza, dormendo in tenda e percorrendo una media di 500 km al giorno per raggiungere il bivacco successivo. C’est le Dakar.

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