3 Giugno 2018

TT: Michael Dunlop, sia ciò che deve essere

Il ritratto del Re moderno del Mountain Circuit. Nel nome del padre, ha sbancato la Superbike, firmato il 16° trionfo. E non è finita

Chiedi alla polvere. No, piuttosto chiedi alla linea ideale. Chiedi se è quella giusta, se bisogna tenere aperto, oppure chiudere il gas; così vicino al muro che puoi pure vedere il brecciolino sollevarsi ai margini dell’asfalto, a pochi centimetri dalla piena sconfitta. O peggio, dalla tragedia. Nel dubbio – come recita il suo sito ufficiale – Michael Dunlop tiene aperto. (qui la cronaca del TT Superbike)

MITO – Al TT, più che altrove, la narrazione troppo spesso diventa mito: in questo però i piloti c’entrano poco. I racers hanno piuttosto un brusco modo di interpretare le corse di moto, che li rende estremamente popolari. Si potrebbe affermare che per i Dunlop le corse siano un fatto di famiglia, ma sarebbe riduttivo: Michael, che si appresta a diventare leggenda – al netto di tutto quello che comporta – dopo 16 vittorie nella corsa su strada più famosa del mondo, è rimasto il personaggio schivo che non ama i riflettori. Di più: diffida dei giornalisti, dei media, che accusa di scrivere “stronzate”. L’uomo è di poche parole, ma quelle poche pesano. In una rara intervista concessa al quotidiano inglese The Guardian, il campione afferma: «sono quello che mette la sua vita sulla traiettoria ideale, quindi deve succedere nel modo in cui voglio che accada».

Michael Dunlop TT Superbike 2018 winnerCARTOLINE – Se non stessimo parlando di un nordirlandese di pura razza campioni-delle-corse-su-strada, sarebbe poesia. Più o meno. Perché qui sta il punto: possiamo parlare finché vogliamo del TT, ma se non lo accettiamo per quel che è, sarà solo un inutile spreco di parole. A costo di essere antipatici diciamo che la morte, in una competizione come quella sull’Isola di Man, è accettata come parte del gioco. Brutto, sporco o cattivo, ma è così. Peggio dell’ignorare il fatto che i campioni che decidono di scendere in pista al Mountain siano perfettamente consapevoli del rischio che corrono, c’è solo la santificazione “del muretto”; si sceglie un punto panoramico, magari su un dosso o vicino a un muro a secco, e ci si lancia in speculazioni sulla mistica delle corse su strada – stando bene attenti a non ricordare le tragedie – mentre sullo sfondo saltano e zompano le moto.

Micahel Dunlop con papà Robert, anni fa

Micahel Dunlop con papà Robert, anni fa

TRAGEDIA E VITTORIA – Quelle sono cartoline di viaggio, la cronaca è un’altra storia. Grazie al cielo c’è Michael Dunlop; l’inglese è burbero, scontroso, lontano dal personaggio del campione che agita le folle. Un solitario che vive di moto. Ricorda il pirata “Long John” Silver nel romanzo di Robert Luis Stevenson “L’isola del tesoro”: sarà per la barba malfatta, sarà per la faccia da ventinovenne che ne dimostra (almeno) dieci di più. Ha della ragione da vendere: nel 2008 William e Michael, brothers in arms, stavano facendo il loro giro alla North West 200, quando esposero le bandiere rosse. Rallentando, videro un uomo giacere di fianco al rottame della sua moto. Il pilota era Robert Dunlop, il padre. La direzione gara a quel punto non avrebbe voluto farli correre: «no, siete sconvolti, non sareste lucidi». Secondo il The GuardianMichael voleva onorare la memoria del padre a tutti i costi e s’impose: «correrò per Robert».

NEL NOME DEL PADRE – Fece qualcosa di più: vinse. Contro un’altra leggenda del TT, John McGuinness: «non c’è amore in quel che faccio, né dato né ricevuto. Sto andando così veloce che non so neppure se riuscirò a fermarmi». Michael vince nel nome del padre. Ma c’è gioia nella vittoria? «La folla esplode,» ricorda Dunlop nella sua biografia «ma la mia testa è piena di lacrime. Ho vinto la gara ma non riesco a trovare nessun motivo di felicità. Domani, seppellirò mio padre». A costo di essere brutali, ma non ipocriti, le corse sono anche questo: rischio consapevole. Che poi, a vedere le immagini del veterano del TT sul Mountain ti chiedi come faccia a correre ancora, dopo dieci anni dalla storica vittoria alla North West, sfiorando ostacoli di tutti i tipi. Alla fine il fascino del TT è questo: o si racconta, nel bene e nel male, oppure si farebbe meglio a passare ad altro.

OPPORTUNITA’ – Se si decide di parlarne, però, è opportuno farlo nel modo giusto: senza minimizzare, senza anestesia. Altrimenti dovremmo censurare pure Dunlop: «faccio le mie cose e se alla gente non piace è un problema loro. Non sono una scimmia in un circo. Non sono qui per intrattenere nessuno. Sono qui solo per vincere. La morte è la sola responsabile dell’uomo che sono oggi: mio padre morto, la mia vittoria nella gara il giorno prima del suo funerale».

TT Superbike: La cronaca

 

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